uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

domenica 6 novembre 2016

Un pianeta proibito: il cinema di fantascienza e la musica elettronica






 Franco Fabbri
   
«Sapete come funziona, quello strumento? Ho consultato il catalogo a questo proposito, e da quello che ho capito, genera delle radiazioni che stimolano il centro ottico del cervello, senza toccare il nervo ottico. In effetti è l’utilizzazione di un senso che non viene mai adoperato sotto stimoli naturali. Straordinario, non vi pare? I suoni invece sono normali. Influenzano direttamente l’apparato dell’udito.  […] Si sentì come un leggero tremito nell’aria, che seguiva la scala musicale. Scomparve e riapparve, scomparve di nuovo, poi sembrò diventare più corposo, finalmente esplose in un rumore di tuono. Una piccola sfera di colori cangianti si formò lentamente levandosi a mezz’aria, da questa caddero piccole gocce senza forma che precipitando si intrecciavano formando disegni schematici... (1).






Questo frammento è tratto da The Mule, racconto di Isaac Asimov pubblicato nel numero di novembre-dicembre del 1945 di «Astounding Science-Fiction», e poi raccolto nel volume Foundation and Empire, seconda parte del ciclo Foundation (Trilogia galattica). Farei un torto a chi non l’avesse ancora letto se rivelassi chi è Magnifico e quali sono i poteri legati all’uso del Visisonor.

Limitiamoci a osservare che Asimov immaginò nel 1945 un generatore di effetti multimediali in tempo reale, uno «strumento», che, almeno per la parte audio, produce suoni «normali» (nel senso che sono regolarmente percepiti attraverso le orecchie). Asimov non spiega se lo strumento sia «elettronico», ma non sembra aver bisogno di entrare in dettagli tecnici, almeno in questo caso (ricordiamo che negli stessi anni stava lavorando alle celebri «tre leggi della robotica» relative al comportamento dei «robot positronici»).


 

Forse esistono attestazioni precedenti di strumenti e musiche nella letteratura fantascientifica (se estendiamo il campo al fantastico o alla filosofia, le «case del suono» di Bacone, dalla Nuova Atlantide del 1624, sono un buon antecedente), ma credo che si possa comunque dire che il Visisonor di Asimov anticipi di qualche anno la presenza di suoni elettronici nel cinema di fantascienza. Non nel cinema in generale, se vogliamo considerare elettroniche (e mi sembra più che legittimo) le sperimentazioni di Oskar Fischinger, Rudolf Pfenninger, (Konstantin?) Voinov, László Moholy-Nagy con la colonna sonora ottica, manipolata con figure geometriche, grafici, impronte digitali, profili di volti (2)



Sperimentazioni che precedono tutte il racconto di Asimov, mentre quelle tecnicamente affini di Norman McLaren lo seguono. È difficile dire se l’idea del Visisonor sia stata suggerita ad Asimov da quelle esperienze ristrette ai circoli d’avanguardia, per di più europei, ma sembra invece molto plausibile che Asimov conoscesse Fantasia, il film di Walt Disney del 1940, con sonoro stereofonico e una sezione intitolata Meet the Soundtrack, che in un certo senso popolarizzava le precedenti esperienze avanguardistiche.


 

D’altra parte, l’idea di uno strumento musicale elettronico era già familiare, sicuramente tra i compositori (anche di musica per il cinema), visto che il theremin e le Ondes Martenot erano già in uso dagli anni Venti e Trenta, insieme ad altri strumenti meno noti, come il Trautonium. Proprio nello stesso 1945 in cui Asimov pubblicò il suo racconto, Miklós Rózsa utilizzò il theremin nelle colonne sonore di due film di grande successo, Spellbound (Io ti salverò, Alfred Hitchcock, 1945) e The Lost Weekend (Giorni perduti, Billy Wilder, 1945): il malessere psichico e l’alcolismo trovavano nella «voce» misteriosa, soprannaturale del theremin un segno preciso e suggestivo.

 





Il debutto del theremin in una colonna sonora hollywoodiana era avvenuto nel 1935 con Bride of Frankenstein (La moglie di Frankenstein, James Whale, 1935), la cui colonna sonora era stata composta da Franz Waxman (o Wachsmann), compositore tedesco immigrato, mentre il primo utilizzo cinematografico dello strumento sembra risalire al film sovietico Odna (Leonid Trauberg e Grigori Kozintsev, 1931), sonorizzato con una partitura di Dmitri Šostakovič che includeva il theremin nell’organico.




Con questi numerosi precedenti, è comprensibile che Bernard Herrmann decidesse di ricorrere a due theremin per la colonna sonora del primo film di fantascienza al quale collaborò, The Day the Earth Stood Still (Ultimatum alla Terra, Robert Wise, 1951). C’erano anche due organi Hammond, un grande organo elettrico da studio, archi elettrificati, ottoni, una ricca sezione di percussioni, e furono utilizzate sovraincisioni insolite ed effetti di nastri rovesciati (3).

La musica di Herrmann per il film di Wise, benché non sia musica elettronica «pura», merita qualche commento specifico, non solo per il carattere problematico della trama del film e il successo di culto. Tra l’altro, in Italia, Ultimatum alla Terra fu trasmesso alla televisione durante la notte del primo sbarco sulla Luna, in attesa del collegamento col Mare della Tranquillità; la frase «Klaatu barada nikto» pronunciata dai protagonisti è diventata, non solo per gli ultracinquantenni italiani, un esempio prototipico di lingua aliena. Ma soprattutto, nel mondo, l’accompagnamento musicale della prima sequenza è diventato una sorta di icona sonora della fantascienza, utilizzata oggi in numerosi siti web per un più immediato riconoscimento dei contenuti.

Innanzitutto, vale la pena di notare l’ambiguità funzionale dei suoni dei theremin, a volte isolati o accompagnati dagli organi Hammond, a volte immersi nel tessuto orchestrale. Spesso è evidente la funzione diegetica, quando i suoni degli strumenti elettronici sembrano provenire da singoli apparati dell’astronave aliena o dall’astronave stessa. In altri casi è chiara la funzione tematica del theremin, all’interno di una musica evidentemente extradiegetica.

Ma altre volte ancora è difficile distinguere: si passa dalla funzione diegetica a quella extradiegetica e viceversa, e spesso l’incertezza è costante. Se ci dovesse servire un esempio che dimostri come la distinzione tra diegetico ed extradiegetico possa essere uno strumento analitico talora “spuntato”, Ultimatum alla Terra è fra quelli più pertinenti.




Un altro aspetto (che assume ancora maggiore rilievo proprio per l’incertezza delle funzioni) riguarda la qualità, il carattere dei suoni. Che rumore deve fare un’astronave? O un portello che appare dal nulla in uno scafo perfettamente uniforme? O un robot? O un apparato capace di resuscitare un extraterrestre morto? È già una scelta impegnativa decidere che debbano fare rumore: tornerò tra breve sull’argomento. Ma non si può fare a meno di notare che nel cinema di fantascienza degli anni Cinquanta gli apparati del futuro producano rumori del presente (di quel presente): rumori elettrici (di archi voltaici, di motori a induzione), più che elettronici.

E, appunto, gli apparati del futuro producono rumori proprio perché lo fanno quelli del presente: anche nell’immaginazione più spinta, l’idea che congegni dalle capacità meravigliose siano del tutto silenziosi non viene considerata. Le ragioni sono le stesse per cui nei primi film i razzi facevano rumore anche nello spazio interplanetario: perché il suono rendeva più emozionante e convincente l’azione. E non dovremmo guardare a quel periodo come si guarda a un’epoca ingenua, perché non solo le astronavi dei film a noi più vicini, silenziosissime quando si muovono per inerzia, si immergono nell’iperspazio con fragore, ma i cannoni laser esplodono i loro colpi come fuochi d’artificio e le spade di Star Wars (Guerre stellari, George Lucas, 1977) ronzano come un vecchio neon bisognoso della sostituzione del condensatore.





Non solo: le sigle dei notiziari televisivi sono ancora modellate sul suono delle telescriventi (abbandonate da un quarto di secolo) o al massimo dei modem a banda stretta, obsoleti da un bel po’, e in quasi tutti i film e telefilm se una scritta appare sul monitor di un computer (e non intendo una scritta generata da un input sulla tastiera, ma l’output di un qualche programma applicativo) ogni carattere che appare è accompagnato da un sonoro “blip”, cosa che talora avveniva sui vecchi terminali dei mainframe, prima dell’apparizione del personal computer.

Ragioni a volte contrastanti presiedono all’ideazione degli effetti e della musica (spesso difficili da distinguere, come ho accennato) nei film del genere fantascientifico. Da un lato, si devono dare voci inaudite ad apparati mai visti, e si vuole suggerire l’immagine sonora di una musica altrettanto inaudita; dall’altro lato, così come quegli apparati sono spesso rielaborazioni futuribili di apparati esistenti, i loro rumori non si possono allontanare troppo dal già noto, e, allo stesso tempo, le esigenze drammaturgiche chiedono che ci sia un’azione sonora, anche quando considerazioni ingegneristiche ne suggerirebbero l’abolizione.

Per quanto riguarda la musica, l’idea che sia inaudita la fa necessariamente dipendere dal già noto, e questo è un primo non trascurabile aggancio tra l’estetica della musica elettronica cinematografica e quella delle avanguardie, perlomeno nelle aspettative di pionieri come Busoni e Varèse. Quest’ultimo scrisse in una conferenza del 1936:


Quando i nuovi strumenti che sostituiranno il contrappunto mi permetteranno di scriver musica così come la concepisco, si potranno percepire chiaramente i movimenti delle masse e dei piani sonori. Quando queste masse sonore entreranno in collisione si avrà la sensazione che avvengano fenomeni di penetrazione o di repulsione, e che certe trasmutazioni che avvengono su determinati piani siano proiettate su altri, che si muovono a velocità diverse e in diverse direzioni. Non vi sarà più posto per la vecchia concezione di melodia o di combinazione di melodie: l’intera opera diverrà una totalità melodica, l’intera opera scorrerà come un fiume. […] Sono certo che verrà il giorno in cui il compositore, una volta realizzata graficamente la sua partitura, potrà affidarla a una macchina che ne trasmetterà fedelmente e automaticamente il contenuto musicale all’ascoltatore (4).


Nei termini della tipologia dei segni musicali formulata da Philip Tagg nel 1992 (5), la funzione della musica elettronica nelle colonne sonore è spesso quella di una sineddoche di genere, per così dire, inversa: se nella normale sineddoche di genere un segno musicale, un musema, “sta per” uno stile diverso da quello del brano esaminato, e per il genere di riferimento di quello stile (per esempio, un glissando di chitarra hawaiana in un brano rock rimanda alla musica country & western, con un processo di citazione stilistica, e può dunque connotare anche aspetti paramusicali di quel genere), nel caso della musica composta per un film di fantascienza un musema “sta per” (o vorrebbe “stare per”) l’insieme complementare a quello che risulta da tutti i generi che si suppongono noti. Un insieme vuoto, inevitabilmente. Questo processo è più evidente in alcuni casi di musica dichiaratamente diegetica, come la musica dei misteriosi Krell ne Forbidden Planet (Il pianeta proibito, Fred M. Wilcox, 1956) composta da Louis e Bebe Barron





In altri casi, come quello della celeberrima orchestrina di alieni nella “cantina” di Guerre stellari (musica di John Williams), o quello della sala ricreativa di Outland (Atmosfera zero, Peter Hyams, 1981, musica composta da Jerry Goldsmith e da Richard Rudolph e Michael Boddicker), la sineddoche di genere è diretta, giocata umoristicamente da Williams (che affida agli alieni un brano di jazz ballabile) o con intenzioni avanguardistiche dai collaboratori di Goldsmith (che nel 1981 immaginano una techno del futuro).

Il pianeta proibito è di gran lunga il film di fantascienza più citato per la colonna sonora, prima di 2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio, Stanley Kubrick, 1968). La ragione è nota: si tratta del primo film interamente sonorizzato con suoni elettronici, creati nello studio privato di Louis Barron e di sua moglie Bebe. È noto anche che nei titoli di testa del film i suoni creati dai Barron furono accreditati come «electronic tonalities » e non come «music». Il motivo puntuale è che i Barron non erano iscritti come compositori al sindacato dei musicisti, ma si può sospettare che dietro il cavillo legale si nascondesse un pregiudizio, sia sull’assenza di una partitura, sia sulla stessa natura di musica del loro lavoro. Pregiudizio che a quell’epoca affliggeva non solo il miope sindacato statunitense, ma anche ambienti musicali almeno in teoria più sofisticati (6).





I Barron utilizzarono apparati molto simili o identici a quelli che nello stesso periodo si trovavano nei primi studi di musica elettronica in Europa: registratori, oscillatori, modulatori ad anello, filtri, camere eco. Ma, almeno stando alle loro dichiarazioni, non si limitarono a un uso impressionistico dei suoni elettronici: anzi, progettarono i loro circuiti (forse si trattava perlopiù di quelle che oggi si chiamerebbero patches) seguendo i principi della cibernetica e i relativi schemi di interazione, così come li aveva descritti Norbert Wiener, il fondatore della disciplina. Ecco come più tardi illustrarono questo aspetto del loro lavoro, nelle note di copertina dell’edizione su LP della colonna sonora:

We design and construct electronic circuits which function electronically in a manner remarkably similar to the way that lower life-forms function psychologically. There is a comprehensive mathematical science explaining it, called «Cybernetics», which is concerned with the Control and Communication in the Animal and Machines. It was first propounded by Prof. Norbert Wiener of M.I.T. who found that there are certain natural laws of behavior applicable alike to animals (including humans) and electronic machines. In scoring FORBIDDEN PLANET - as in all our work - we created individual cybernetics circuits for particular themes and leit motifs, rather than using standard sound generators. Actually, each circuit has a characteristic activity pattern as well as a «voice». Most remarkable is that the sounds which emanate from those electronic nervous systems seem to convey strong emotional meaning to listeners. We were delighted to hear people tell us that the tonalities in FORBIDDEN PLANET remind them of what their dreams sound like. There were no synthesizers or traditions of electronic music when we scored this film, and therefore we were free to explore «terra incognito» [sic] with all its surprises and adventures (7).




I Barron, come ha precisato Bebe in un’intervista recente (8), si limitavano a “lasciar funzionare” i loro circuiti, sorprendendosi di quanto i risultati fossero poi adatti a questa o a quella sequenza, a questo o a quel personaggio: si tratta senza dubbio di uno dei primi esempi di musica elettronica generativa. Che la musica de Il pianeta proibito dovesse suonare inaudita o d’avanguardia rientrava negli stessi intendimenti della MGM, che (rivela la stessa intervista) prima di scritturare i Barron aveva preso contatto con Harry Partch, uno dei bad boys della musica sperimentale statunitense.

I coniugi, del resto, non erano per nulla estranei ai circoli dell’intellettualità d’avanguardia: nel loro studio al Greenwich Village, fondato nel 1951, avevano ospitato Henry Miller, Tennessee Williams, Aldous Huxley e Anaïs Nin, e fra il 1952 e il 1953 John Cage aveva registrato lì il suo Williams Mix. Se si ascoltano a breve distanza brani come Studie II di Karlheinz Stockhausen (1953), Scambi di Henri Pousseur (1957), il Poème électronique di Edgard Varèse (1958) e alcuni frammenti della colonna sonora de Il pianeta proibito, si possono trovare non poche somiglianze timbriche (come ho detto, gli apparati di base erano sostanzialmente gli stessi) e anche strutturali (se si eccettua Stockhausen, naturalmente).




Almeno nel caso di Varèse, non ci si può basare sulla distinzione tra musica applicata e musica assoluta, e d’altra parte non si può dire che i Barron componessero per il cinema in modo tradizionale (come rimarcarono i famosi sindacati): dunque già all’origine, per così dire, le «electronic tonalities» dei Barron e la musica elettronica dei compositori d’avanguardia europei e statunitensi si trovavano nella medesima nebulosa stilistica. Quasi subito, però, la colonna sonora dei Barron diventa il prototipo per le colonne sonore dei film di fantascienza, determinando uno dei non pochi casi di invasione semantica della musica da film in altri generi musicali.

Chiamo “invasione semantica” il processo per cui una forte associazione tra materiale musicale e significati paramusicali, determinata dall’efficacia comunicativa di un testo complesso (un film, in questo caso), istituisce e stabilizza un codice che diventa dominante rispetto ad altri testi. Qualche esempio: il cool jazz di Ascenseur pour l’échafaud (Ascensore per il patibolo, Louis Malle, 1958), musica di Miles Davis, che codifica l’associazione cool jazz/suspense; la fanfara iniziale di Also sprach Zarathustra di Richard Strauss, che grazie all’uso da parte di Kubrick in 2001: Odissea nello spazio diventa simbolo di tecnologia avveniristica in decine e decine di spot televisivi eccetera.







Potenziato dall’uso documentaristico e televisivo, questo processo da un certo momento in poi interferisce con la più che legittima aspirazione dei compositori di musica elettronica di comunicare altre emozioni e altri significati (o nessuno, secondo un’estetica autonoma): non è solo l’ascoltatore più ingenuo a pensare immediatamente alla fantascienza quando ascolta i suoni di un modulatore ad anello, riverberati e filtrati, mixati con del rumore rosa, mandati in eco. E d’altra parte valgono a ben poco gli incitamenti e le proibizioni della critica superciliosa: come ha spiegato bene il cognitivista George Lakoff, l’effetto di un invito come “non pensare a un elefante” ha come risultato immediato di far pensare a tutti gli elefanti possibili (9). Anche “non pensare alla fantascienza” funziona poco!

Scardinare un codice, un effetto prototipico, un frame, un habitus, uno schema – concetti diversi per definire processi affini, rispettivamente secondo le prospettive della semiotica di Eco (10), della psicologia cognitiva di Rosch (11), delle scienze cognitive di Lakoff (12), della sociologia antropologica di Bourdieu (13), della neuropsicologia musicale di Levitin (14) – non è semplice.

Nel lungo processo di emancipazione della musica elettronica (soprattutto quella delle avanguardie storiche degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento) dalla fantascienza, ha certamente pesato l’abbandono del cliché proprio da parte del cinema, prima con Kubrick, poi con Lucas e Williams. Anche se la profusione di sinfonismo wagnerian-hollywoodiano nella saga di Star Wars, più che far pensare a una ristrutturazione del genere fantascientifico sotto l’aspetto musicale, contribuisce a consolidare l’idea che il genere di riferimento di Lucas, almeno nel primo episodio (oggi quarto...), sia il western (come propongono King e Krzywinska nel loro Science Fiction Cinema) (15).




Un altro contributo è venuto dal dilagare dei suoni elettronici nella popular music, a partire dalla fine degli anni Sessanta. Nella prima fase, in realtà, abbondano ancora gli abbinamenti tra suoni elettronici e paesaggi spaziali (la popular culture gioca coi cliché, più che respingerli), come nei Pink Floyd di Astronomy Domine (da The Piper at the Gates of Dawn, 1967) e Set the Controls for the Heart of the Sun (da Ummagumma, 1969), o negli insoliti Rolling Stones di 2000 Light Years from Home (1967, da Their Satanic Majesties’ Request), o ancora nei Moody Blues di The Best Way to Travel (1968, da In Search of the Lost Chord), ma in seguito suoni ancora più inauditi, come quelli dei campionatori, degli harmonizer, dei vocoder, pur suggestivi, diventano familiari sia attraverso le canzoni popular che nei jingle televisivi e nelle colonne sonore.

Conta, naturalmente, la velocità crescente (e oggi ormai immediata) con cui nuove soluzioni musicali si diffondono da un medium all’altro, da un genere all’altro, e conta anche la privatizzazione e l’industrializzazione della ricerca. Già nel 1982, quando la Biennale di Venezia ospitò la prima esecuzione di Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2 di Luigi Nono, le macchine dell’Experimentalstudio der Heinrich-Strobel-Stiftung des Südwestfunks di Freiburg erano in buona parte apparecchiature standard, che si sarebbero trovate già da qualche tempo nei migliori studi di registrazione commerciali.

La normalizzazione dell’elettronica inevitabilmente comportava un avvicinamento, la progressiva rimozione dell’inaudito, il passaggio dalla fantascienza alla scienza, e poi alla tecnica quotidiana. Sotto questo aspetto, il fatto che l’unica applicazione industriale della leggendaria piastra 4X, lo strumento universale progettato per l’Ircam da Giuseppe di Giugno e utilizzato in composizioni di Boulez, Nono e altri, sia stata destinata al simulatore di volo dell’Airbus (un gigantesco videogioco per professionisti) ha molto da raccontarci sulla fantascienza, sul futuro, e sul futuro della musica e del cinema.






note
1) Isaac Asimov, Il crollo della galassia centrale, «Millemondi 1971». Supplemento a Urania 568, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1971, pp. 157-317 (trad. di Foundation and Empire, Gnome Press, New York, 1952, prima ed. italiana 1964). Il brano citato è a pp. 255-257.
2) Fred K. Prieberg, Musica ex machina, Einaudi, Torino, 1963, pp. 268
3) «Violins, cellos, and basses (all three electric), two theremin electronic instruments (played by Dr. Samuel Hoffman and Paul Shure), two Hammond organs, a large studio electric organ, three vibraphones, two glockenspiels, marimba, tam-tam, 2 bass drums, 3 sets of timpani, two pianos, celesta, two harps, 1 horn, three trumpets, three trombones, and four tubas. Unusual overdubbing and tape-reversal techniques were used, as well». Wikipedia, voce: «The Day the Earth Stood Still (1951 film)» (ultimo accesso: 24 novembre 2010).
4) Edgard Varèse, Nuovi strumenti e nuova musica, in Il suono organizzato. Scritti
sulla musica, Ricordi-Unicopli, Milano, 1985, pp.101-103.
5) Philipp Tagg, «Towards a Sign Typology of Music», in Rossana Dalmonte, Mario Baroni (a cura di), Secondo convegno europeo di analisi musicale. Atti, Università diTrento, Trento, 1992, pp. 369-378.
6) Rimando per questo a Franco Fabbri, «From musique concrète to rock ‘n’ roll, from tape and electronic music to the Beatles, from minimalism and progressive rock to disco and techno: unscored music and its challenge to score-centred musicology», relazione presentata al convegno Generazioni elettroniche, Università di Udine, Gorizia, 21 ottobre 2010, di prossima pubblicazione negli Atti.
7) Louis Barron, Bebe Barron, Forbidden Planet Soundtrack LP, note di copertina,
parte 2/2, Moving Image Entertainment, MIE 008.  («Progettiamo e realizziamo circuiti elettronici che funzionano elettronicamente in maniera molto simile al modo in cui le forme di vita più basse funzionano psicologicamente. Vi è una vasta scienza matematica, chiamata «cibernetica», che si occupa e  che spiega il Controllo e la comunicazione dei viventi e le  macchine. Ciò è stato studiato e proposto per la prima volta dal Prof. Norbert Wiener del M.I.T. che ha scoperto che ci sono alcune leggi naturali di comportamento applicabili allo stesso modo agli animali (compreso l'uomo) e alle  macchine elettroniche. In Forbidden Planet - come in tutto il nostro lavoro -  invece di utilizzare generatori audio standard abbiamo creato   circuiti cibernetici personalizzati per particolari per ciacun  tema e leit motiv. In realtà, ogni circuito ha un modello, un'attività caratteristica nonché una «voce». Notevole è che i suoni che emanano da quei sistemi nervosi elettronici sembrano trasmettere un forte significato emotivo per gli ascoltatori. Siamo stati lieti di sentire  persone che ci hanno detto  che le tonalità di Forbidden Planet  ricorda il suono dei loro sogni. Non erano stati ancora utilizzati sintetizzatori e non c'erano  scuole di musica elettronica quando abbiamo iniziato a lavorare a questo film, e quindi eravamo liberi di esplorare la  «terra incognita» [sic] con tutte le sue sorprese e avventure».) 
8) «Bebe Barron On The Cybernetics Of Electronic Music Circuits», 4 marzo 2009, sul sito Synthtopia, http://www.synthtopia.com/content/2009/03/04/bebe-barron-on-thecybernetics- of-electronic-music-circuits/ (ultimo accesso: 26 ottobre 2010).
9) George Lakoff, Don’t Think of an Elephant!, Chelsea Green Publishing, White River Junction, 2004 (tr. it. Non pensare all’elefante!, Fusi orari, Roma, 2006).
10) Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1976.
11) Eleanor Rosch, Principles of Categorization, in Eleanor Rosch, Barbara B. Lloyd (a cura di), Cognition and Categorization, Erlbaum, Hillsdale (NJ), 1978.
12) George Lakoff, Women, Fire, and Dangerous Things. What Categories Reveal about the Mind, The University of Chicago Press, Chicago, 1987 (tr. it. Donne, fuoco e cose pericolose. Come la mente categorizza il mondo, La Nuova Italia, Firenze, 1999).
13) Pierre Bourdieu, La distinction, Les Éditions de Minuit, Paris, 1979 (tr. it. La distinzione. Critica sociale del gusto, Il Mulino, Bologna, 2001).
14) Daniel Levitin, This Is Your Brain on Music, Dutton/Penguin, New York, 2006 (tr.it. Fatti di musica. La scienza di un’ossessione umana, Codice, Torino, 2008).
15) Geoff King, Tanya Krzywinska, Science Fiction Cinema. From Outerspace to Cyberspace, Wallflower, London and New York, 2000.



orizzonti
A cura di Ilario Meandri
e Andrea Valle
SUONO/IMMAGINE/GENERE
© edizioni kaplan 2011
Via Saluzzo, 42 bis - 10125 Torino
Tel. e fax 011-7495609
info@edizionikaplan.com
www.edizionikaplan.com
ISBN 978-88-89908-60-0

http://cobolpongide.blogspot.it/2016/03/la-voce-del-futuro-una-risposta-
franco.html












Nessun commento:

Posta un commento