uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

venerdì 15 maggio 2015

Musica e Autonomia II

Da 
Musica e Autonomia. Percorsi musicali nell'Italia della Rivoluzione Possibile di Giuseppe Maio. Secondo post.


Claudio Lolli


Secondo girone: Ibridazioni d’autore, canzonette, canzoni.

Vale la pena di citare la bella descrizione di Gianmargio Borio (1)
a proposito della canzone:
“La canzone del XX secolo (americana ed europea), unitá formale che accomunava la
musica leggera o di intrattenimento e che ancora oggi é centrale nei generi cosiddetti
pop, aveva nelle sue radici almeno due differenti correnti generative: quella della
tradizione musicale orale, rurale e urbana, europea o afro-americana, e quella scritta
dei generi cameristici vocali “da salotto”ottocenteschi. Le forme modulari come il
blues, che in esecuzioni dal vivo avevano una durata variabile e prima dei dischi non
conoscevano grandi possibilitá di riproduzione a distanza, erano affiancate da forme
chiuse che venivano correntemente pubblicate e circolavano in edizioni scritte prima
ancora che registrate come il classico repertorio Tin Pan Alley o le canzoni napoletane.
Una volta fissate su disco, peró, le due tradizioni cominciarono lentamente a fondersi
producendo nuovi generi. Questi erano accomunati da un’unitá di durata (da due a tre
minuti) e da una centralitá della voce e delle poesie nella composizione.
L’antica contrapposizione orale-scritto, forma aperta-forma chiusa,
divenne una questione di stile.”
Sviluppo diseguale, emigrazione, scolarizzazione di massa, iniezioni di musica e
cultura, via radio libere, dai templi anglosassoni della sovrastruttura, noia della
canzonetta sanremese, bisogno d’innovazione dell’industria musicale nostrana, sono gli
elementi basici della biforcazione tra “post-caAggiungi didascalianzonetta”e canzone d’autore da una parte,
beat e rock, progressivo e non, dall’altra. Due o piú facce della stessa medaglia.
In un versante i miti degli anni cinquanta, Celentano, Mina (2) , Modugno, che pure
rappresentano l’apertura sensibile, corporale, del messaggio del rock (Bill Haley, Elvis
Presley, il rythm’n’blues), sono affiancati da nuovi miti di massa come Caterina Caselli
e Patty Pravo, influenzati dal beat e dalla rivoluzione sessuale nelle forme e nei
contenuti, marcando mode e atteggiamenti di massa.
Cui fa da contraltare la malinconia poetica, in un tempo in cui la poesia rischia il
confinamento “aulico”, la coscienza critica della massificazione culturale, con quel
pizzico di nostalgico elitismo teatrale dei vari EndrigoTencoJannacciGaber, Paoli e
in misura minore Bruno Lauzi, Don Backy, Ricky GiancoPierangelo Bertoli,
qualcosa di Dalla, solo per citare i piú conosciuti.
Il contributo delle “scuole” della nuova canzone-poesia, umoralmente intimista,
malinconica, libertaria e politica, sia melodica che orchestrale, e dei pochi percorsi
spontanei piú propriamente politici, marca indelebilmente la storia
della musica popolare italiana.



Nomi giganteschi assolutamente noti a tutti, come succede quando memoria, storia e
identitá viaggiano sullo stesso treno: Guccini, De gregori, De André, Lolli, Manfredi,
Bennato, Vecchioni, Bertoli, Branduardi, Finardi, Conte, Fossati, Battiato. Nell’altro
versante, dalla metá degli anni Sessanta, con la fine delle sale da ballo e del teatro di
rivista, ma anche dei locali d’avanguardia del jazz e del boogie-woogie, i
“complessi”s’incaricano di offrire alle giovani generazioni l’importazione degli stili
Beatles o Rolling Stones, le tracce delle mode delinquenziali teddy boys e
l’eversione provos, gli umori rock o folck-rock.
Ostentazione ed estetizzazione della diversitá, voce roca, capelli lunghi, falsetti
esasperati, aria maledetta, suoni elettrici si accompagnano con la ricerca, anche nel
tempo libero, di contenuti di superamento dei valori di famiglia, lavoro,
sesso e cultura tradizionali.
Anche i nomi la dicono lunga: Nomadi, Equipe 84, New Trolls, Corvi, Rokes, New
Dada, Camaleonti, Giganti, Ribelli, Primitives, Bisonti. Poi, all’inizio degli anni
Settanta, con qualche ereditá dal beat, il lustro “splendido”(liberi di leggerci dell’ironia
o no) del progressive, l’ibridazione, il rapporto con gli strumenti, l’interpretazione,
l’autorialitá multipla, la liberazione dei brani nel tempo narrativo, l’intreccio con altri
media come la grafica, la pratica dell’esecuzione.
Comunque, meglio chiarire che letture per generi o biforcazioni come questa sono
inadeguate poiché non fanno che incorniciare percorsi per funzioni e caratteristiche
esclusive (le griglie adorniane di svago e consumo per esempio). Sembra piú logico
trattare queste espressioni come un vasto “campo musicale” con polaritá e tensioni, un
iperspazio a n dimensioni (3) i cui sottoinsiemi (a loro volta spazi multidimensionali)
possono avere intersezioni non limitate alla scontata rappresentazione topografica
(bidimensionale) dei generi con “frontiere” e “terre di nessuno”. Musiche come nuvole.
Non che l’autonomia non apprezzi alcuni brani o esperienze isolate, anzi ce ne sono e
cercheró di citare i piú significativi, ma il profilo un pó artigianale orientato a una teoria
« molecolare » sul potere, la autolimita all’appropriazione
e alla pratica locale del contropotere.

Francesco Guccini
Quindi percepisce la musica popolare come campo di dominio culturale, si astiene in
blocco dal navigarlo, mantenendosi il piú lontano possibile dalla “produzione” di
cultura di massa e specchiandosi nei contenuti, piú che nelle musiche, di pochi
compagni e gruppi, molto identificabili politicamente per un vissuto prossimo in idee e
azioni: nella canzone politica d’autore fra tutti Claudio Lolli e Gianfranco Manfredi.
Mentre “alternativi”, “underground” e qualche autonomo assaltano i concerti e la logica
del prezzo, provocando per anni il deserto nella scena musicale italiana, De Gregori
viene processato nel camerino del Palalido per “uso commerciale del discorso politico”.
Processo abbastanza frequente in quegli anni. Altro che critica musicale!
Chi non ha suonato, in sedi fumose o in prati di periferia, almeno una volta “La
Locomotiva”, o “Generale”, o “Il bombarolo”?
Un intimismo trasversale, il disagio esistenziale di matrice romantico-libertaria, un
generico disgusto per tutte le forme di potere, per l’ipocrisia della comunicazione e del
senso comune, per l’oppressione del consumo. Il tutto mediato dall’amore, a volte con
connotazioni decisamente hippy, di liberazione, armonia, salvezza.
É cosí che Guccini, DeGregori e De André si fanno buoni quasi per tutti, specialmente
per quei molti ex-sessantottini che si preparano ad assumere cariche dirigenti nelle
istituzioni, nelle imprese. Il nome di uno tira gli altri, come le ciliegie, a riprova
dell’appartenenza alla stessa “ipernorma”, semantizzazione usata da Fabbri per
descrivere l’“ideologia” di un genere. Mi sembra che “canzone del nuovo quotidiano”,
nel senso di rafforzamento e intensificazione delle emozioni di massa, calzi abbasatanzacanzonetta sanremese
bene: Guccini lo pratica in generale dal profilo folk della ballata, De André dalla
contaminazione di poesia e tradizioni musicali altre, De Gregori prevalentemente da
quello dell’intimismo linguistico.
Di Guccini, tra beat-generation e anarcoide esistenzialismo “carnevalesco”, come lo
intende Bachtin, da distaccare la conosciutissima e censurata “Dio é morto”, scritta per
l’Equipe 84, “Auschwitz”, scritta per i Nomadi, “Eskimo”, del ’78, racconto
autobiografico della sconfitta di una generazione, cresciuta nella speranza del '68.
Soprattutto “La locomotiva”, inno di fatto di tutta una generazione,
ballata che si richiama a un fatto realmente accaduto il secolo scorso
(esattamente il 20 luglio 1893) (4),
il tentato suicidio di un macchinista che scaglia il suo treno come bomba contro una
vettura di prima classe, all’allora supersonica velocitá di 50 km.



Operazione colta e dispersa in cento rivoli, ma ricondotti con indubbia capacitá registica
quella di De André. É la seducente ibridazione di cultura popolare (Brassens, Cohen, ma
anche Spoon River, le ballate medievali, la tradizione provenzale, i canti dei pastori
sardi, Cecco Angiolieri, i Vangeli apocrifi, i “Fiori del male” di Baudelaire, e molto
altro), del patrimonio dialettale (sardo, genovese, napoletano), delle forme
mitteleuropee (il valzer), francesi (la giava) e di quelle napoletane (la tarantella). Se ci
aggiungiamo l’intelligente connubio con il progressive italiano
(New Trolls (5), PFM (6) ), e le collaborazioni varie
(Fossati e De Gregori tra gli altri), ne esce una miscela vincente
di tradizione popolare e innovazione manageriale.
L'ambientazione sonora semplice e retrò a un certo punto comincia a lasciare il posto a
violini, oboi. Nel corso degli anni De Andrè ricerca un tipo di musica
al passo coi tempi ed é portato a sinfonizzare la sua musica, ad "americanizzarla"
o a "mediterraneizzarla" (Giada Pizzolo).
Di tutta la produzione (che tra l’altro De André non scrive né orchestra quasi mai),
l’immaginario politico si appropria di quel manifesto dell’antimilitarismo del ’68 “La
guerra di Piero”(1964), e dell’intero album “Storia di un impiegato” (1973), che narra
la vicenda di un travet che, sull'onda del Maggio francese, é contagiato dal fuoco
rivoluzionario. Cupa profezia sulla degenerazione della contestazione in terrorismo che,
di li' a poco, segnerá la storia italiana. I brani “La bomba in testa”, “Il Bombarolo”,
"Canzone del maggio”, non a caso entrano a 
far parte del repertorio dei movimenti fino al fatidico ’77
e oltre. Infine (inutile ripetere che é puramente soggettivo), importante la bella
 “Coda di lupo” (da“Rimini”-1978), 
specialmente nei versi pieni d’ironia che alludono alla
contestazione alla Scala, in occasione della prima dell’Otello di Zeffirelli da parte dei
giovani confluiti a Milano, il 27 e 28 novembre 1976, per
l’happening nazionale dei Circoli del proletariato giovanile.
Anche nel caso di De Gregori é palpabile l’ereditá dalla poesia del Novecento e dalle
sue letture giovanili (Steinbeck, Cronin, Pavese, Marcuse, Pasolini) e dai suoi amori
musicali (Simon & Garfunkel, De André, Tenco, Leonard Cohen, soprattutto Bob
Dylan), con un pizzico d’intimismo fiabesco, un pó di furba incomprensibilitá, doppi
sensi, sinestesie, artifici linguistici, costrutti logico-sintattici spezzati e inusuali
in un uso “matematico” della lingua da vendere come
canzone d’autore nel riuscito connubio tra chitarra, pianoforte e voce nasale.


Claudio Lolli
Questa dolce incomprensibilitá, forse lo stimolo maggiore per gran parte del pubblico,
gratificato dallo spirito poetico e dagli accostamenti imprevisti, sono addolciti da
tematiche simili e riconoscibili, come il tema del viaggio, la partenza e tutti i concetti ad
esso collegati (la stazione, il treno, la nave, il mare...) e gli elementi naturali rivisitati il
maniera personale, in un rimando di universale e quotidiano, giustapposizioni di nomi
ed immagini/sensazioni prive di consequenzialitá.
Anche De Gregori viene “segnato” dalla contestazione e processato dagli autonomi al
Palalido nel 1977, lascia per riprendere piú avanti proprio con il famoso “Generale”.
Fra gli altri, i piú politici “Storie di ieri” (da “Rimmel”, 1975), 
"Disastro aereo sul canale di Sicilia” e “L’uccisione di Babbo Natale” (da “Buffalo Bill”, 1976), “Chi ruba nei supermercati?” (7)  (da “Canzoni d’amore”, 1992). 
Vicina al background di De Gregori,
 la collaborazione con Giovanna Marini, quattordici tracce
 sotto il titolo “Il fischio del vapore”( 2002).
 Ci troviamo la canzone politica di “L'attentato a Togliatti”,
ma anche alcuni canti tradizionali delle mondine (“Saluteremo il padrone” e "Bella Ciao"), “Sacco e Vanzetti”,
 e tracce appartenenti al repertorio di Giovanna Daffini,
O Venezia che sei la più bella”), un’operazione a la page, nel recupero, un tanto
necrofilo, dei segni di una cultura popolare che perde in potere di rivendicazione ció che
acquisisce in pura circolazione d’informazione.
In sostanza, i tre “big della canzone d’autore” italiana, coevi di un ridotto stuolo di
cantautori (8) coprono, ciascuno a suo modo, l’esigenza di nuovo di un mercato
(Columbia, Emi, Ricordi, Philips, Cbs, Rca, Sony, ecc...), che, attraverso la
mercantilizzazione della canzone d’autore, per finanziarsi l’espansione degli inizi
Settanta (si sta passando dal quasi obsoleto ‘45 giri al piú corposo ’33), ridefinisce il
mercato stesso, dalla tradizionale articolazione geografica a una sostanziale
omologazione. É un momento in cui tutti, pensando a favolosi guadagni, sognano di fare
i cantanti o mettere su orchestre di successo.
La proliferazione di musicisti é esponenziale, circa 42.000 strumentisti di orchestre,
2.200 parolieri, 2.500 compositori, 1.500 cantautori compositori. Insieme creano circa
5.000 canzoni all'anno (citando solo quelli iscritti alla Siae). I dischi venduti solo nel
1970 sono 36.700.000 a 45 giri, e 5.200.000 LP.
Massimi storici, ma anche inizio di una grave crisi, indotta tra l’altro da cassette e
registratori, con cui ognuno si registra la canzone preferita, fluidificando e
personalizzando la fruizione musicale. Inoltre i costi e le tecnologie non permettono
ancora che qualche sparuta iniziativa “indie”. Non so se é una questione di chimica, di
dosaggi, certo lo é anche di vissuto, e sicuro che il vissuto c’entra sempre con la musica.
O forse i generi, che cominciano a diversificarsi e ricombinarsi in quegli anni, come
prodotti e connotazioni degli eventi/narrazioni, sono, in presenza di ideologie “forti”,
piú facilmente segmentabili.


Claudio Lolli

Per questo appare chiaro il diverso dosaggio tra la canzone d’autore di consumo ricca di
tonalitá politico/esistenziali, e la nuova canzone politica, che cerca anche uno spessore
compositivo. Due cantautori dedicano il loro specifico vitale all’area autonoma, in
modo inequivocabile, sviluppando attivitá organiche e poliedriche fino ad oggi:
Aggressiva coerenza quella di Claudio Lolli, velata di malinconia tutta politica, non
esistenziale, nel senso usurato dai professionisti del ripescaggio (per intenderci, quelli
che, nel trentennale del ’77, lo rimuovono nel piombo o nell’eroina, o nel folklore
nazionale), con testi in rilievo tra “rabbia, schifo e malinconia”, come nella celebrata
Borghesia” (da “Aspettando Godot”, 1972).
Tra disprezzo delle convenzioni della borghesia e denuncia della violenza del
capitalismo, le stragi fasciste, la perdita delle matrici culturali popolari, la sua
produzione (quattordici dischi), suona oggi “classica”, ma resistente all’omologazione.
Anche per la diserzione volontaria da qualunque accordo creativo con le mayor
discografiche (“per disinteresse reciproco”), preferendo piccole case indie di qualitá per
l’edizione dei suoi ultimi lavori. “Io sono come un orso. Con le braccia tese in alto
aspetto il sorgere del sole” recita la citazione del canto Pawnee nell’introduzione al sito
Bielle.org (9), alla cui conduzione, dopo una decina d’anni di ritiro dalla produzione
musicale, Claudio contribuisce con la stessa passione, non smettendo mai di esercitare
nella vita il suo lavoro di professore.
Estremizzando un pó, si puó dire che molte delle avanguardie politiche degli anni
Settanta, specialmente della sinistra extraparlamentare, dall’estinto Potere Operaio, a
Lotta Continua, all’Autonomia, hanno trovato nell’insegnamento, nel lavoro culturale in
generale, ovviamente nella scrittura (10), “una baia ove ancorare temporalmente la loro
nave dopo il naufragio”, chi in attesa, chi senza mai smettere di costruire.
Differenza speciale con i reduci del movimento del ’68, integrati e omologati senza
riflusso alcuno, forse perché l’implosione del ’77 raggiunge una velocitá di fuga
esponenziale tanto piú forte per la divergenza delle spinte dei movimenti e del sistema.
L’anno di “Aspettando Godot” (1972) é lo stesso anno in cui, guarda caso, Luis Buñuel
vince il Premio Oscar con il film “Il fascino discreto della borghesia.
E “Boghesia” (11) é tra le canzoni piú efficaci e dure del disco, insieme a
Angoscia metropolitana”. Dopo “Un uomo in crisi”(1973) (12),
in cui spiccano ancora la crisi esistenziale, senza intimismo,
ma come vissuto sociale di relazioni umane e sociali che producono
disperazione e rabbia, e dopo “Canzoni di rabbia” (1974), ancora su temi di solitudine e
lucida rivolta, esce l’album che piú di tutti significa l’impegno di Lolli col suo presente,
Ho visto anche degli zingari felici” (1976), destinato a segnare un salto culturale e
animico decisivo nella geografia emozionale dei movimenti, alla stessa stregua di
“Storia di un impiegato”di De André o di “Senza orario senza bandiera
di De André e dei New Trolls.



Al cinema é l’anno in cui viene condannato al rogo “Ultimo tango a Parigi” di
Bertolucci; anni di Montanelli che invita a “turarsi il naso ma votare Dc”, di Berlinguer
che apre alla Nato e lancia l’Eurocomunismo. Anni, soprattutto di attentati. Neri, cupi,
velenosi. Anni in cui é facile “ritrovarsi soltanto a dei funerali” (Giorgio Maiomone-
Brigate Lolli.org). In ogni brano, da “Piazza bella piazza”,
Anna di Francia” (13), “Primo maggio”,
ma anche “La morte della mosca” (14), “Agosto”, “Albana per Togliatti” (15), tutte
le tematiche piú implosive del movimento del ’77 sono filtrate in rapide pennellate: il
terrorismo, gli omicidi di regime, il personale/politico, il rapporto con la sinistra
istituzionale, il femminismo, in quello che si puó considerare il disco piú
rappresentativo del movimento, comprese le organizzazioni autonome.
Alla fine, accantonando l’umore un pó malinconico dei primi dischi, l’esplosione di
forza e di gioia premonitrice della piazza, il luogo mitico di vita che raccoglie le
speranze e la voglia di scambio e di rivoluzione.
Chi c’era si é davvero sentito come quegli zingari, depositari di un diffuso e
irreversibile nomadismo mentale, del contagio della spontaneitá. Subito. (16)  Festa e
tumulto, eversione esistenziale, il presente é ovunque, spazio e tempo sono il qui e l’ora,
per questo scompare la distanza con le cose, con gli eventi, mozzando il fiato nella
vertigine, il no-future punk lo grida verso dentro; dal brusío infinito che si sprigiona
sbocca negli anni successivi il silenzio estraniato del riflusso nel “privato” o nelle
“professioni”, mentre una piccola parte dei movimenti del ’77, incapace di assumere la
sconfitta, radicalizza il silenzio di quel “no totale” nei codici delle organizzazioni
combattenti, nel calcolo della guerra.
Ma gli zingari sono prima di questo, percepiscono quel presente assoluto, sono
espressione di potenza e di desiderio, nomadi e ebbri di vendetta e di guerra. La canzone
inizia e finisce il disco, concepito come una suite unica, alla maniera di Storia di un
impiegato o, senza condividerne lo spirito “narrativo”, del rock progressivo. Inserisce i
fiati nella struttura (un sax e un flauto magistrali) e le percussioni, marcando una
musicalitá nuova per Lolli, anche se le parole in poesia, come sempre
vivono la loro vita da protagoniste assolute.
Le ultime quattro strofe della ripresa finale della ballata che dà il titolo all'album sono
liberamente rielaborate da “Cantata del fantoccio lusitano” di Peter Weiss, trattate con
un mutamento di prospettiva rispetto all'originale: cioè come rifiuto della
colonizzazione da parte dei colonizzati, per il recupero dei beni di cui sono stati
espropriati (17). E nel 2003 gli zingari ritornano, questa volta con
arrangiamenti veramente gitani, balcanici (18).
In mezzo, nel ’77 c’é “Disoccupate le strade dei sogni”, con la magnifica
« Ed il lavoro l'ho chiamato piacere,/ perché la semantica è violenza/ oppure è
un'opinione/ Ma non è colpa mia, non saltatemi addosso/,se la mia voglia di libertà
oggi è anche bisogno di confusione.”.
E ancora il testimonio del rifiuto dell’industria culturale, in “Autobiografia
industriale” (19) (da “Disoccupate le strade dei sogni”, 1977). Gli altri album continuano
fino ad oggi, tra ripetizione, rabbia, sconforto, denuncia, passione e tutta una panoplia di
sentimenti che parola poetica e musica essenziale, scagliano sul viso dell’ascoltatore.

Gianfranco Manfredi
Chi avrebbe detto che gli zingari felici di cui sopra si sarebbero trovati nello stesso ’76
al Parco Lambro, e non era la prima volta, per prendere atto di una divaricazione
insanabile, nel bel mezzo di comportamenti parodici e musiche fossili? Di Gianfranco
Manfredi in molti apprezziamo il suo essere artista a piú dimensioni, la sagacia e
l’ironia dei testi, certi arrangiamenti musicali, le sue incursioni nel cinema,
nella formazione, la passione per la scrittura
i saggi di musica, i vari racconti fantastici) e i fumetti.
Poco resta fuori da quell’“esperire” i mondi della comunicazione di massa. Eclettismo
postmoderno o strategia del ragno? Empirismo marxista o detournement vitale?
Trasformismo tattico o schizofrenia pre-cog (precariato cognitivo)?
Se Panzieri l’avesse immaginato all’epoca dei Quaderni Rossi, ci avrebbe messo su una
interessante teoria sull’intellettuale post-operaista, precario di frontiera
fra interessi e attivitá intellettuali diverse.
Nel pullulare di chierici e neoaccademici dell’ultrasinistra, piccola borghesia
intellettuale dotata di un potente, eroico super-io culturale, tradizionalista e iconoclasta
allo stesso tempo, ossessionata dalla tradizione, da preservare o distruggere, Manfredi fa
della ricerca. Ricerca che, specie in un ‘epoca ancora priva di reti informatiche, é
spontanea investigazione sociale degli elementi piú evocativi, quelli in grado di incidere
sull’immaginario del lettore e dell’ascoltatore-massa. Qui sta il fascino dell’operazione,
riposizionare il valore d’uso di questi miti di massa, inventando percorsi a partire dalla
fruizione e senza posizioni preordinate escludenti, rarezza totale in quegli anni di
rimozioni e occlusioni, di reazione e di resistenza.
Un sentire prima di un comprendere, ma con solidi agganci al Marx giovane (20) da una
parte, e nel discorso della grande cultura non marxista sull’uomo totale dall’altra
(Breton, Freud, Kafka, Nietzsche, Artaud, Adorno, Lacan), nell’ardua intenzione di
annetterli alla nuova cultura rivoluzionaria in formazione e trasformazione.
Perché mai uno che si laurea in Storia della Filosofia, con in cattedra Mario dal Pra e
con una tesi su Jean Jaques Rousseau, che milita attivamente nel Collettivo di Filosofia
e si batte per il 30 garantito, poi lascia tutto e arriva a scrivere dei saggi sui cantanti di
massa di fine anni Sessanta? .“Quelli che cantano nei dischi”(Coniglio, 2004) é una
raccolta di mini saggi, scritti tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta,
sviluppati nella loro dissonante profonditá ed estensione, su Jannacci e su Celentano,
ma anche su Battisti e su Mina, come miti di massa, per esporre le sue intuizioni, acute
e fresche, spiazzanti per quella malcelata freddezza e mancanza di rigore.
Il tutto senza integralismi di sorta, trattandoli come “musica di consumo”, “musica
leggera”, non “merce”, anche se certamente lo erano, anche se la pubblicazione
dell’epoca su “Lato Side”, etichetta indie della sinistra extraparlamentare, avrebbe
permesso di ospitare il massimo disprezzo per quelle forme culturali istituzionali (21).
 Cosí l’atteggiamento critico
attraversa il giallo (articoli su Chase, il ritratto di Dorian Gray),
il noir, il cinema, soprattutto quello horror, le trasposizioni cinematografiche di E.A.
Poe, il mito dello zombie nel cinema...il western, sempre cercando di rinvenire i fili
delle relazioni sociali e di potere sottintese.
Di volta in volta sceneggiatore, attore, soggettista, musicista, regista in ben venticinque
tra film, sceneggiati ed opere teatrali (22).
Nove romanzi e sette racconti dal 1978 al 2001, incursioni nel fantastico attraversate
dalle contraddizioni sociali e metropolitane, e l’incontro col fumetto, arrivato
casualmente e tradotto ancora una volta in ricerca e prodotto ricco di valori centrifughi.
All’inizio, l’esperienza con Gordon Link, un pó il progenitore in Italia del trash, del
demenziale (come Ghostbuster, la scuola di Belushi, di Saturday Night Live
Animal House) per la leggendaria Editoriale Dardo, tra avventura, ironia, fantasy,
attualità e divertimento (23).
Poi, invitato da Bonelli, il padre del fumetto popolare italiano (Tex, Dylan Dog),
Manfredi scrive varie sceneggiatture di Dylan Dog, Nick Raider, fino ad ottenere la
possibilitá di gestire un progetto suo, con un personaggio nuovo, e nasce Magico Vento (24), oggi arrivato al numero 110
 e appena approdato in Francia con l’editrice Mosquito.
Ancora generi minori ibridati, come per dire 
che nel percorso dell’eterno recupero delle
culture altre da parte dell’immaginario sistemico, 
ci sono interstizi che possono essere
investigati e ridirezionati con l’occhio attento alle storie non raccontate, comunque
documentate attraverso un lavoro di ricerca profonda degli eventi reali, cosí
frammentari e molto orali. C’é qualche attinenza con l’immagine degli zingari felici di
Lolli? Quella dell’indiano Lakota, irriducibile in lotta per conservare le sue riserve e la
sua cultura é la storia del mito della frontiera, é l’altra fascinazione forte
dell’immaginario dei movimenti antagonisti, gli stessi indiani metropolitani del ’77 e
dintorni lo evocano tra nomadismo culturale e selvaggismo esistenziale,
felice e colorato.


E la musica cosa c’entra in tutto questo maremagnum in ebollizione? Nella misura che é
ritmo vitale, ricerca di una composizione, storia fatta di idee e emozioni, c’entra
eccome. Inoltre, il periodo della produzione musicale per Manfredi coincide con quello
dell’impegno politico piú intenso, dall’inizio dei Settanta alla fine dello stesso decennio.
Sono tutte canzoni politiche, all’inizio preparate per la distribuzione militante,
come il disco “La crisi”(1972) (25).
In quegli anni milita nel gruppo Gramsci, l’ala non stalinista del movimento, il gruppo
dell’ala dell’autonomia prima dell’ingresso di Toni Negri e di quelli di Porto Marghera,
un gruppo di origine varesina nato all’incirca all’epoca della scissione
del movimento studentesco di Popi Saracino (26).
Sia le parole che la musica, soprattutto chitarra, sono fortemente ritmati, con rime
ironiche molto divertenti, come in quasi tutte le composizioni di Manfredi (27). Nella
stessa epoca, 1974-1975, conosce Nanni Ricordi, che, con indipendenza dAggiungi didascaliaalla casa
discografica ufficiale, e con l’intenzione di offrire voce a Manfredi, Cattaneo e ad altri
che in quegli anni esercitavano sotterraneamente, costituisce l’“Ultima Spiaggia”. Per
questa etichetta esce nel ’76 “Ma non é una malattia”, il disco che piú di tutti resta nella
storia del movimento, per l’omonimo brano, per “Agenda ‘68”, ma soprattutto per “Ma
chi ha detto che non c’é”, altro pezzo memorabile, ripetuto all’infinito nelle
manifestazioni, nelle feste giovanili, ricordato nei libri e nei racconti del ’77.
Sta nel fondo dei tuoi occhi / Ma chi ha detto che non c’è? / Sulla punta delle labbra /Ma chi ha detto che non c’è? / Sta nel mitra lucidato / Ma chi ha detto che non c’è? /
Nella fine dello Stato / C’è!, sì c’è! / Ma chi ha detto che non c’è? / C’è!, c’è
Del ’77 é “Zombie di tutto il mondo unitevi”. Qui sono presenti canzoni rivolte a donne,
sul sesso e sull’amore. Tra tutte spiccano “Dagli Appennini alle bande” e soprattutto
Un tranquillo festival pop di paura”, ispirata con ironico rammarico agli avvenimenti
del Parco Lambro dell’anno precedente. La critica é tagliente, espressa con tutta la
luciditá e il distacco di uno che, da dentro, non riesce a comprendere
la piega che stanno prendendo le cose (28).
Nell’articolo “Parco Lambro, miti, riti e detriti”ci troviamo la critica della
rappresentativitá (“proletariato giovanile e avanguardia come classe”, distorsione
che porta inevitabilmente a replicare il classismo).
Rispetto ai fini, che si chiamino rivoluzione o no, il movimento rivendica le condizioni
di realizzazione di una felicitá, non come a Manfredi pare di vedere al Lambro nel 1976,
un dovere da compiere che si trasforma immancabilmente in paranoia ed impotenza, sia
dentro che fuori del rito collettivo.
Infine la musica, medium controverso e linguaggio universale, che solo attraverso una
relazione centrata sull’uso e sulla fruizione (cioé anche le forme di autoproduzione
possibili, come qualsiasi discorso culturale o artistico), puó costituirsi in un vero rituale
collettivo, di realizzazione autonoma della soggettivitá. (29)
Poi seguono altri dischi, testimonianze di una sofferta militanza, di una progressiva
perdita di fiducia nell’evoluzione delle cose, quasi in ognuno dei brani del dopo ’77, lo
spirito critico non riesce a tacere le contraddizioni che il movimento sta amplificando.
Testi e canzoni non da passare in rassegna per trovarci il nuovo, o un’identitá, proprio
perché iscritti in un’operazione cosciente di superamento della tradizionale rottura con
la merce attraverso la rivendicazione dell’autonomia del politico (canzone di lotta
contro canzone di consumo, slogan politico contro slogan pubblicitario).
Che é anche “superamento del ribellismo come modello spettacolare
alternativo, usato e consumato sistematicamente dal capitale
che ne forgia le piú grosse operazioni commerciali, la
colonizzazione di nuovi mercati”. (30)
Questo processo, non altro che il principio del rivoluzionamento costante delle forme di
vita operato dal capitale nell’unico valore sedimentato che riconosce, quello del
“Valore”, deve essere smascherato. Tanto a chi se lo nasconde rivendicando la propria
non chiarita autonomia come a chi ci si diverte dentro.
Con questo fine, istintivo quanto concettuale, Manfredi si muove come un felino nelle
forme di comunicazione di massa, tutte pubblicitarie o in via di mercificazione, nuota
nella serialitá come nella produzione di stereotipi alternativi invitando ad abbandonare
l’autocritica e l’autoironia, comunque incluse nella “tendenza”.
Per istigare all’improvvisazione e all’esasperazione del lavoro negativo di
scomposizione e dissoluzione dei modelli fissati in figure ideologiche. Credo che quella
luciditá, patrimonio di una minoranza, lo faccia soffrire non poco, ma siccome sente
prima di pensare, invece di censurare ed eclissarsi, si fa sfuggente, si annida nel comico,
nell’orrido, nel seriale.
Non coscienza critica, ma lucido detonatore.

Pierangelo Bertoli


note

1)
2)
Per un’approfondimento critico del fenomeno canzone attraverso i suoi miti di massa, vedi i saggi
critici di Gianfranco Manfredi 1978 - Lucio Battisti (Lato-Side) 1980 - Enzo Jannacci (Lato-Side) 1981 - Celentano (Lato-Side) 1981 - Mina, Milva , Vanoni e altre storie (Lato-Side) 1982 - La Strage delle innocenti (Lato-Side) 1982 - Piange il Grammofono (Lato-Side)
3)
“In questo quadro concettuale la popular music é un vasto insieme di generi, caratterizzati dalle forme
principali di produzione (industriali) e distribuzione (altoparlanti), dall’uso predominante della memoria prima meccanica poi magnetica, poi digitale, da funzioni di riconoscimento sociale e generazionale alle quali é tutt’altro che estranea , da forme generalmente brevi, dialetticamente correlate con i media, da un linguaggio tonale o modale in relazione storica con la musica eurocolta e con alcune tradizioni orali, soprattutto europee e africane. Non c’é una risposta concisa e semplice alla domanda “Cos’é la popular music?”, nulla di paragonabile a “musica d’intrattenimento”, “musica di consumo”, “musica leggera”,“canzonetta”. Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo, Arcana, Roma, 2002
4)
5)
dalla loro collaborazione nasce il concept album “Senza orario senza bandiera
6)
album dal vivo in concerto, contestato da autonomi e autoriduttori.
7)
“Tu da che parte stai? Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati? O di chi li ha costruiti?
Rubando?”ove l’allusione ai padroni della Standa (al padrone) é piú che palese e dallo stesso disco “La ballata dell’uomo ragno”"E' solo il capobanda, ma sembra un faraone.../ Si atteggia a Mitterrand, ma è peggio di Nerone", un'invettiva il cui bersaglio fin troppo scoperto è Bettino Craxi, prima di essere inquisito.
8)
Roberto Vecchioni, Pierangelo Bertoli, Ivano Fossati, Eugenio Finardi, Edoardo ed Eugenio
Bennato, sul versante della canzone d’autore e popolare; Franco Battiato su quello della sperimentazione, dal progressive rock all'avanguardia, dalla musica classica e sacra all'elettronica, passando per un anomalo tipo di composizione pop sospesa fra divagazioni intellettuali e tendenze commerciali; Alan Sorrenti, Angelo Branduardi, Claudio Rocchi, sul versante del pop psichedelico, o free-jazz progressive.
9)
Progetto copyleft tra i piú vivi, di catalogazione, recupero, informazione, trasmissione dei profili e dei
testi della musica popolare e di protesta degli ultimi quasi cinquant’anni, spazio critico e di
autoproduzione e partecipazione diretta alle iniziative musicali piú significative, di un gruppo di
compagni raccolti intorno alla denominazione paramilitare “Brigate” dedicata proprio a Lolli.
10)
Lolli affianca alla sua professione di cantautore e professore, anche quella di scrittore, pubblicando tre
libri: "L'inseguitore Peter H.", "Giochi crudeli" e "Nei sogni degli altri". I suoi testi sono stati pubblicati  dalla casa editrice City Lights Italia di Firenze nel 1998 con il titolo "Antipatici antipodi 1972-1997”.
11)
Composta da un Lolli giovanissimo, nel’68, assolutamente in linea con le sue idee di allora:“ io credo
che ci sia un virus culturale terrificante di appiattimento e di omologazione in Italia che viene proprio
dall'esaltazione della piccola borghesia: il nostro potere oggi è un potere piccolo borghese” C’é da
aggiungere che negli ultimi venti anni del ventesimo secolo la borghesia forse si é un pó eclissata, per
l’espansione del capitale finanziario orbitale e per l’informatizzazione dei processi di gestione. Al
borghese si é sostituito il manager, senza cultura eccetto la finanziaria e gestionale, orientata ai risultati
immediati attraverso la riduzione selvaggia dei costi e la concorrenza criminale.
12)
Quello lí-compagno Gramsci”, “La giacca”, “Morire di leva”, “Un bel mattino”, tra i brani piú
memorabili.
13)
"Non sarò per te un orologio/ il lampadario che ti toglie il reggiseno/ quando è tardi è notte e tu sei
stanca/ e la tua voglia come il tempo manca...”, in coerenza col dibattito femminista.
14)
"il cielo appartiene ai potenti/ alle mosche appartiene la merda...Oggi è morta una mosca digrignando
gli ultimi denti, subendosi l'ultima beffa, la morte appartiene ai potenti”
15)
"C'è un compagno, altra generazione/ che vuol bene ai matti/gira con un fazzoletto rosso/ e una foto di
Togliatti", in cui, in quell’ “altra generazione” si leggono i rapporti travagliati col Pci, con i vecchi
comunisti, il rapporto con la memoria storica messo in discussione dai figli.
16)
Fuori della logica degli interessi e dei bisogni, “i movimenti del '77, paradossalmente, prendono sul
serio alcuni dei cardini delle società affluenti: l'individualismo e il consumismo. Li tendono fino
all'estremo limite e da qui principiano a sovvertirli. Il loro consumismo individuale di massa non solo si affranca dalle equivalenze monetarie, ma oppone alle compatibilità economiche, alle costrizioni
giuridiche e ai divieti politici la libertà assoluta. Un mix veramente esplosivo di anarco-liberalismo e
anarco-comunismo” (Antonio Chiocchi)
17)
“Siamo noi a far ricca la terra/ noi che sopportiamo/ la malattia del sonno e la malaria/ noi
mandiamo al raccolto cotone, riso e grano,/ noi piantiamo il mais /su tutto l'altopiano./ Noi penetriamo
foreste, coltiviamo savane,/ le nostre braccia arrivano/ogni giorno più lontane./ Da noi vengono i tesori alla terra carpiti,/ con che poi tutti gli altri/ restano favoriti. / E siamo noi a far bella la luna/ con la nostra vita/coperta di stracci e di sassi di vetro./ Quella vita che gli altri ci respingono indietro/come un insulto,/ come un ragno nella stanza./ Ma riprendiamola in mano, riprendiamola intera,/ riprendiamoci la vita,/ la terra, la luna e l'abbondanza”
18)
Con il gruppo Il Parto delle Nuvole Pesanti. Riadattazione. Segno che qualcosa rimane, in primis
l’esigenza di raccontarsi soprattutto ai giovani, non come cronaca emozionale, ma come opportunitá
sempre latente.
19)
“Il primo giorno,/ che ho messo un piede alla EMI,/Autobiografia industriale,/viva le tette dell'industria culturale,/ tette opulente e dissetanti,/ ma in definitiva un po' troppo pesanti./...Autobiografia industriale,/ cioè come il latte dell'industria culturale,/ un latte amaro, molto indigesto,/ ma soprattutto un po' troppo caro/ Autobiografia industriale,/ come inserirsi nell'industria culturale,/ cioé come possono gli intellettuali,/dare una mano,/ per mantenere gli stessi rapporti sociali”
20)
Dei Manoscritti economico-filosofici, della Sacra Famiglia, per intenderci, quello che scrive della
necessitá per l’uomo di di riappropriarsi di “tutti i rapporti umani che ha con il mondo”
21)
“...perché se la musica é per sua natura un microcosmo prefiguratore nel quale é possibile leggere le
tendenze della trasformazione sociale, l’editoria musicale é paesaggio sintomatico dei vuoti, degli
impacci, delle abitudini letargiche, dei rigurgiti conservatori, delle riluttanze, delle rimozioni che
sottendono il rapporto fra la sinistra(e/o il movimento) e le forme di linguaggio...Ed é proprio per la
scarsa disinvoltura con cui chi vuole trasformare il mondo si aggira in queste zone, che la cultura
dominante ha agio di risolvere autoritariamente questa mancanza, spacciando se stessa per norma
eterna e invalicabile e permeando del proprio ordine del discorso il senso comune”(Franco Bolelli-
22)
Nel cinema come scrittura di genere Gianfranco Manfredi é costantemente presente, come
sceneggiatore, ma anche come attore non protagonista, o compositore della colonna sonora, con Samperi (Liquirizia,1979 - Un amore in prima classe, 1980), con Steno (Quando la coppia scoppia, 1981), con Vanzina (Via Montenapoleone, 1986) e con molti altri, tra cui Massimo Troisi (Le vie del Signore sono finite, 1987), ancora come attore; insomma, particolarmente con l’onda di quella commedia all’italiana che fa della parodia e della vita quotidiana, allo stesso tempo banale e morbosa, un territorio dell’immaginario popolare di massa. Di Manfredi sono due serie televisive(Colletti Bianchi e Valentina, del 1989, rispettivamente di 12 e 13 puntate). Tra tutta la produzione teatrale, poco numerosa, va distaccato Zombie di tutto il mondo unitevi a Nervi, del 1992. Realizzato in collaborazione con Ricky Gianco, amico e compagno di altre iniziative, come il Festival Musicale di Mantova, nel maggio 2007 alla sua quarta edizione.
23)
In realtá Manfredi si occupa di fumetti dal 1974, come redattore di Re Nudo. Sulla storica rivista del
movimento underground italiano, dopo le importazioni di Crumb (Fritz il gatto, Mr. Natural), la
produzione propria si arricchisce delle prime tavole di Scozzari.
24)
“Fumetto che incrocia un po' i temi del western e dell'horror. L'incontro con la cultura indiana, con le
sue figure mitologiche, fu molto difficile per i bianchi. Fu l'epoca in cui cominciava lo spiritismo, persino il generale Custer era uno spiritista. Con Magico Vento volevo raccontare tutto questo lato del west che fino ad ora non era stato narrato e quindi sacrificato alle semplici pistole” (G.Manfredi)
25)
Prodotto dall’etichetta Lo spettro, viene distribuito per via sindacale per finanziare i corsi delle 150 ore,
le scuole operaie. Copertina disegnata da Crepax, ma Gianfranco Manfredi non firma neppure le canzoni perché non é ancora iscritto alla Siae.
26)
Potere Operaio si é sciolto da poco proprio mentre nascono i primi coordinamenti delle assemblee
autonome. Da parte di diversi militanti e dirigenti di questo gruppo c’é, inizialmente, un grande interesse che si concretizza nella disponibilità ad un apporto organizzativo esterno e nell'assidua frequentazione delle riunioni senza che riescano ad assumere un ruolo di direzione esterna a causa delle premesse su cui si basano gli organismi autonomi. A poco a poco questi militanti si sganciano. L'area che fa riferimento a Toni Negri inizia un rapporto con il Gruppo Gramsci presente soprattutto a Milano con militanti presenti nella sinistra sindacale, soprattutto FIM ma anche FIOM: Questo connubio determina una mutazione della linea politica del Gruppo Gramsci che si scioglie mentre una parte dei suoi militanti dá vita ad alcuni collettivi di fabbrica tra cui quello della FACE STANDARD e quello della SIT-SIEMENS. Da questo percorso di collaborazione fra militanti ex P.O. ed ex Gruppo Gramsci nasce la pubblicazione "ROSSO", portavoce di uno dei principali gruppi dell'area dell'autonomia che si sono costituiti in seguito.
27)
“...ogni suo testo "poggia" su un determinatissimo musicale anni '50, un pò retrò, molta "musica
commerciale", divertente per l'incontro tra parole nuove da "contestazione" unito a queste musiche che
passano tutto l'arco delle musiche radio-tele-San Remo che ci hanno afflitto da anni. L'insieme, l'incontro, fra questi testi intelligenti, ironici, corrosivi e queste musiche (in questo contesto) disarmate per la loro fragile leggerezza, ingombrante stupidità, dissennatezza, è anche divertente, ma certamente siamo ben lungi dall'ascolto globale, dalla "musica aperta" che stimoli l'ascolto analitico, ecc., dallo " studio ", insomma, della "canzone" degli Stormy Six”(Giovanna Marini- Cari Area, Finardi, Gianco, Lolli, Manfredi, Stormy Six...articolo tratto da Lotta Continua del 21 aprile 1978)
28)
“E' l'ultimo spettacolo / non solo della festa / la mia generazione che svuota la sua testa / vuole vederne i pezzi / e non li vuole vedere / vuol leggersi nel corpo, ma anche sul giornale... Ed anche qui nel rito c'è la contraddizione / nella felicità la nuova repressione / il parco è ormai nascosto è tutto una lattina / abbiamo fatto il punto e niente è come prima”
29)
“La nostra musica, soprattutto quella italiana di ascendenza contadina, esprime talvolta attraverso
suoni onomatopeici questi significati (soprattutto allusioni erotiche), ma più spesso rimanda a una
significazione di fondo che é appunto il lavoro, la scansione del ritmo di lavoro. Il rituale collettivo é in
questo caso scandito da un gesto ripetitivo e uguale trasmesso da lavoratore a lavoratore. Ci si identifica in quanto “lavoratori”. Questa “musica del lavoro” é inutile nascondere che é stata la matrice della musica della sinistra italiana. L'altra matrice anch'essa d'origine "popolare" é la marcia, anch'essa a ritmo costante, deciso e scandito, gesti ripetitivi e uguali, cioé la musica marziale, che non é solo musica dell'esercito, ma anche musica "di lotta". Infine la musica da chiesa, corale, rituale, impostata anch'essa su un ritmo costante, su fasi semplici e ripetitive, slogan.” (Gianfranco Manfredi-Parco Lambro, miti, riti, detriti)
30)
Gianfranco Manfredi - Nostra merce quotidiana, Lotta Continua del 21 aprile 1978.

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