uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

venerdì 1 maggio 2015

Musica e Autonomia

Da
Musica e Autonomia. Percorsi musicali nell'Italia della Rivoluzione possibile di Giuseppe Maio,
Oggi presento un lungo e bel capitolo dal testo di Giuseppe Maio. In futuro, spero, ne seguiranno altri. Ho aggiunto alcune  foto e numerosi link che puntano, nella maggior parte dei casi, alle canzoni. Spero saranno di vostro gradimento. Non perdetevi le note!


Primo girone: radici orali


Nello Stige sta il potere della parola, il patrimonio orale. In questo “brodo primordiale”
galleggia la canzone italiana dall’inizio del Novecento all’avvento del Festival di
Sanremo nel 1951. Intrisa di identitá folk, popolari, l’accumulazione teorica e
ideologica la storicizzano, riducendone i connotati rituali, ritmici, comunitari, a
narrazione della classe e della cultura proletaria. Noi postmoderni potremmo dibattere
all’infinito di quanto fosse folk la buona massaia Orietta Berti, il progressismo di Anna
Identici, le vesti contadine di Gigliola Cinquetti, l’estetismo individualista-bohemienne
di De André, o il qualunquismo mortale dei Vianella in “Semo gente de borgata”. Quali
fili sottili legano, per esempio, la fotografia di contadini, minatori, povera gente in
bianco e nero cosí com’era e i canti popolari della tradizione, con il propagandismo
demagogico fascista? Pensate che ancora ferve il dibattito tra coloro che imputano un
“ritardo” linguistico rispetto all’evoluzione della societá italiana (De Mauro, Coveri),
alla poesia per esempio, e alla rottura antiaulica operata dall’esperienza crepuscolare.
Ritardo che fino a Modugno e i successivi “urlatori” prenderebbe le sembianze del
melodramma, di un “insistito uso dei materiali piú corrivi della tradizione lirica italiana (1).
Questa lettura individua gli anni Sessanta, il boom economico
e al massimo le culture giovanili del ‘68 come ricomposizione della frattura.
Probabilmente, invece, “la vera rottura é tout court quella che fonda la musica di
consumo italiana, da collocare proprio nel periodo tra le due guerre mondiali (2). Alle
soglie dell’era fascista la radio sposta la musica urbana dai salotti borghesi e arriva nei
tinelli dei ceti medi; dilaga oltre i caffé, i teatri, le sale da concerto, diventa colonna
sonora della vita quotidiana (3). I primi passi fordisti l’industria discografica li fa dagli
anni Dieci con la Fonit e anche con i dischi americani di Caruso, mentre si va
ridefinendo il rapporto tra musica e corpo con l’arrivo della cultura musicale afro-
americana (cake-walk, rag-time, tango, fox-trot, rumba, charleston, che sostituiscono i
vecchi polka e walzer) e caraibica, che sottintende fusione tra musica araba,
ebraica e celtica, la tradizione mediterranea, l’Africa.
Questi elementi permettono la rifunzionalizzazione nella societá di massa
di concezioni del tempo musicale, strutture formali,
tecniche vocali di ambito folklorico.
L’affermarsi di nuovi sistemi di distribuzione commerciale di massa
del prodotto musicale(disco,radio, musica per film)
radicalizza ulteriormente il processo.
Su scala internazionale si sta estinguendo un sistema basato sulla contrapposizione
dialettica tra musica colta e popolare (4). Sullo sfondo italiano,

“alla preesistente segmentazione sociale regionale delle varie borghesie urbane e dei
diversi ceti subalterni, il mercato di massa oppone l’unificazione di produzione e
pubblici, aspettative e gusti, in un unico sistema produttivo; marginalizza i mercati
regionali, si specializza al proprio interno solo in funzione di coprire la piú vasta fetta
di mercato, ma lo fa dall’alto. La musica colta registra la crisi della cultura europea, si
schiaccia nella dialettica ripetizione del repertorio tradizionale/avanguardia; l’opera
muore, il folklore musicale testimonia la nuova marginalizzazione dell’Italia rurale,
diviene linguaggio della crisi, ma poi perde la propria funzione sociale. Lo strumento
dell’oralitá (la memoria) viene colonizzato e ridefinito per un nuovo uso. Per questo
mondo l’unico canale di scorrimento alternativo verso la nuova societá, diverso
dall’integrazione subalterna nei consumi di massa, é la cultura operaia e urbana o il
movimento cooperativo delle campagne” (5).

In questo senso non si tratta di rivendicare alcun purismo nella tradizione
del canto politico, sociale e patriottico, compresi gli stessi canti della resistenza,
 perché non  esiste. Il suo recupero é comunque sotteso alla cultura di massa,
costitutendolo come elemento di propaganda politica, racconto epico collettivo,
che si espande attraverso un uso piuttosto gregario, spesso minimalista, della musica
e della rappresentazione della storia.

Caruso

In una specie di rovesciamento del modello dell’artista colto, giá intaccato dalla
canzonetta, la musica si riconsidera fondamentalmente dalla prospettiva dei suoi usi e
dei suoi attori sociali, in definitiva dal suo contributo a specifiche forme di vita:
musiche per lavorare i campi, per corteggiare, andare in guerra, per ricordare,
richiamare il bestiame, seppellire i morti, tessere, ballare in gruppo.
Giochi di bambini, nanne materne, inni di soldati, rintocchi di campane,
musiche rituali e festive, il rapporto con il sacro, la mobilitazione della gente,
il rafforzamento delle lealtá comunitarie, di genere, gruppo d’etá,
classe,  etnia o nazione.

 L’attacco sferrato dai ricercatori della cultura popolare alle forme “colte”,
allo stile personale, all’ethos borghese della musica come negazione
del mondo sociale, raccoglie in collezioni e canzonieri le forme originarie
e atemporali, depurate delle variazioni  proprie di ogni esecuzione.
Diciamo che garantisce il transito alla metropoli per articolare una memoria collettiva
della “voce del popolo”. Ossia, all’inevitabile codificazione consumista in “genere”del
patrimonio folklorico e al suo imbrigliamento ideologico da parte degli apparati di
partito, fanno da contraltare una codificazione funzionale alla classe, la creazione di
valori culturali “propri”, utili alla critica e all’innovazione.
Autori e strutture gravitanti attorno alla sinistra storica, corredo dell’apparato,
sporadicamente critiche con la matrice propagandistica che gli si pretende,
con il profilo nazionale, con il verticismo sindacale e partitico,
con  la ricerca di convergenza istituzionale ad ogni costo.
La maggioranza si allinea comodamente con la disciplina di partito, esaltando la ricerca
e l’innovazione musicale colta dentro la fisionomia popolare della canzone politica;
un’altra parte, piú piccola, inasprisce i testi e supporta quelle frange della sinistra
extraparlamentare che vanno divergendo a passi forzati dalla condotta comune. In tutti
comunque c’é, in gradi diversi, una motivazione alla gestione, alla creazione di un
circuito autonomo, di sviluppo produttivo, cosí come il disinteresse per il profitto fuori
dalla sussistenza. É il senso missionario proprio degli artigiani e restauratori della
musica popolare e politica e della sua funzionalitá alla identitá della sinistra.
Del resto le vendite sono comunque irrrisorie, le loro creazioni
si cantano  e si suonano in gruppo, non si ascoltano se non nelle feste
 e nei concerti politici, che sono la vera fonte di finanziamento.

L’Autonomia Operaia é piuttosto scomoda in questo contesto per il genetico conflitto
con le organizzazioni istituzionali della sinistra, cosí com’é palesemente ostile alle
contaminazioni di fine Sessanta e inizio Settanta, la canzone, il beat, la cultura
underground, gli hippies, non considerati come espressioni vere di contropotere,
piuttosto come prodotti del consumo capitalista, frutti edonisti
delle culture imperialiste d’oltre oceano. In questo girone, come nei successivi,
 risiedono sporadiche presenze affini all’autonomia.
A titolo di avvertenza metodologica, vista l’importanza di tratteggiare
 almeno i contesti, i profili piú netti e coerenti con il fare autonomo,
saranno contrassegnati con un #, cosí da avere alla fine uno spartito,
ovviamente molto personale, da “eseguire” come si vuole. Inoltre di ogni profilo
non si pretende offrire una biografia, né una produzione esaustiva,
bastandomi di porre in rilievo gli elementi di prossimitá con l’area autonoma.



Allora, in questo girone ci troviamo dei musicisti, che sono anche dei cantanti politici,
che sono anche dei ricercatori. Ci troviamo anche dei politici che si improvvisano
musicisti, dei gruppi che si identificano con la sinistra di classe negli anni Settanta,
infine le riproposizioni « normalizzate » del folk e della musica popolare coeve, giá
completamente integrate nel sistema culturale.
Tra fine Cinquanta e inizio Sessanta, il musicista è quello chiuso nei suoi conservatori e
nelle sue sale da concerto, di cui si occupa la critica ufficiale, quello che viene da
Darmstadt o magari addirittura dagli Stati Uniti. Oppure è lo strimpellatore di chitarra
d’accompagnamento, o il pianista da piano-bar, il musicista per poesia, potremmo
definirlo. Il cantante politico è l’anonimo (o gli anonimi) espresso dalle lotte delle
masse. Oppure è il generoso divulgatore di slogan in do/sol 7. Il ricercatore è il geloso
maniaco del magnetofono, il professore universitario con giuste ambizioni filologiche.
Oppure il furbo saccheggiatore di musiche popolari per americani
in cerca di emozioni esotiche.
I nuovi cantanti/musicisti politici spaziano sui livelli di competenza piú vari,
dall’esperienza del conservatorio e della scuola di musica alla sperimentazione con
forme musicali classiche. L’unitá va cercata innanzi tutto nell’impegno politico, nella
volontá di dare ascolto alle voci di base, ossia di trasmettere la pluralitá della cultura
operaia, ma in linea con l’ortodossia storiografica che riconduce la storia della classe a
storia delle organizzazioni e dei loro dirigenti, ricollocandone le esperienze di
minoranza, le correnti eretiche, le varianti locali e svalutando radicalmente ogni forma
di autonomia non controllata della soggettivitá di base.

É l’intenzione di ascoltare queste voci e di costruire con esse una storia comune che
distingue negli anni ’50 e ’60 figure come Ernesto de Martino, Danilo Montaldi, Rocco
Scotellaro, Nuto Revelli, ed esperienze come i Quaderni Rossi e soprattutto l’Istituto
Ernesto de Martino e il Nuovo Canzoniere Italiano, “il vero grande volano” dell’interesse
 per la cultura orale in Italia. Come non citare Cesare Bermani che ripercorre la lunga
e complessa  storia dell’uso delle fonti orali in Italia  dagli anni ’30 ad oggi (6).
Anticipando le forme contemporanee della multimedialitá, l’Istituto Ernesto de Martino
proverá a raccontare la storia e a documentare il presente anche in forma sonora, con i
long-playing degli Archivi Sonori. Intorno alla metá degli anni Sessanta in Italia la
veritá diventa un valore mitico con l’espansione dei Canzonieri, delle Leghe, i
Collettivi, le Colonie, i Circoli, , fino ad arrivare a giustificarsi concettualmente nelle
“nuove necessitá”, nell’”operaio sociale”, nell’ “autovalorizzazione”  degli anni Settanta. (7)


Se mi si chiedesse di indicare una realtá di raccolta di memoria, anche sonora, prossima
all’emotivitá e alla cultura dell’autonomia, senz’altro citerei il Circolo Gianni Bosio#
Dopo aver partecipato giovanissimo alla Resistenza, Bosio aderisce all’ala libertaria,
luxemburghiana del Partito Socialista. Nel 1949 fonda la rivista Movimento Operaio, la
prima rivista dedicata alla storia del movimento operaio in Italia.
Il fatto che consideri la storia della classe qualcosa di autonomo rispetto alla storia
 delle sue istituzioni, partiti e sindacati, e dei loro gruppi dirigenti; che attribuisca
Importanza decisiva alla dimensione locale e ai filoni minoritari; che intenda
fondare l’autonomia della storia delle classi non egemoni su una rigorosa
acribia filologica, tutto questo lo fa entrare in conflitto con la storiografia ufficale
dei partiti  di sinistra,  finché nel 1953 viene estromesso dalla rivista.
A partire dal 1962, inizia la produzione di dischi di canti politici e sociali, le sue prime
registrazioni di canti e racconti popolari le raccoglie ad Acquanegra e nel sud. Nascono
le Edizioni I Dischi del Sole, l’etichetta discografica che fino agli anni Settanta riunisce
praticamente tutta la produzione significativa di canzone politica e canzone popolare in
Italia. Nasce Il Nuovo Canzoniere Italiano, un gruppo di musicisti legati a questo
progetto politico-culturale collegato con l’Istituto Ernesto de Martino.
E quello di Roma é solo il capostipite di una serie di circoli Gianni Bosio (presenti
anche a Torino, Chieti, Modena e in altre città), ove si raccoglie la piú ingente quantitá
di materiali sonori musicali e storici di Roma e del Lazio, una risorsa di memorie e
visioni, una matrice di spettacoli,concerti, seminari, dischi, libri...é una biblioteca, un
centro di documentazione, una collezione di dischi, di CD, di video.

Come ci ricorda Gianni Bosio nel fondamentale e sconosciuto saggio Elogio del
magnetofono, il lavoro sulle fonti orali parte proprio dal fatto che questa memoria, la
cultura delle classi non egemoni, non si deposita in primo luogo in forma di scrittura. Il
magnetofono è dunque lo strumento che ha permesso, a partire dalla metà del secolo,
non solo di fissare la parola del mondo popolare, ma anche di studiarla criticamente. Ma
perché la narrazione sovverte, sposta l’ordine del tempo?
Non certo perché l’ordine del tempo non esiste, ma perché pone al narratario il compito
di comporlo: nella narrazione contemporanea non esiste solo il lavoro dell’autore ma
anche il lavoro di riordino mentale del lettore. Questo è tanto più vero quando parliamo
di oralità. Qui infatti non si tratta di testi, cioè di strutture verbali stabili, ma di
performance, di un’azione che si colloca nel tempo, non un racconto, ma un raccontare.
Un testo è una cosa ferma nel tempo, e preziosa per questo,
per la certezza della stabilitá di cui abbiamo bisogno.
Ma il racconto orale è una cosa che si rinnova ogni volta (8).
In tutta la stagione degli anni ’60 e ’70, il movimento di cui Bosio
é il principale animatore resta nell’ambito di una
sinistra rivoluzionaria e libertaria, ma anche rigorosamente autonomo
da ogni appartenenza di partito o di gruppo.
Per questo é uno dei pochi ambienti in cui tutti i filoni della sinistra vecchia e nuova
possono convivere in tempi di settarismi e divisioni; ma per la stessa ragione
 paga la sua autonomia e il suo pluralismo con l’isolamento e la scarsitá di risorse
che lo porteranno vicino all’estinzione soprattutto negli anni ’70 (9).


Per Bosio, e per tutta una generazione di intellettuali con un orientamento
etno-antropologico (inedito nelle societá industrialmente avanzate),
i riferimenti al meridionalismo di Ernesto De Martino e
di Raniero Panzieri e i “Quaderni Rossi”sono fondamentali.
Come lo sono i riferimenti a Gramsci, fautore della cultura come atto liberatorio
dall’influenza ideologica dei gruppi intellettuali borghesi sul movimento operaio, 
e teorico dell'organizzazione di una nuova cultura.
Fin dal gruppo bassiano di “Quarto Stato” sono gli studi di Cirese (10)
e De Martino a valorizzare le suggestioni di Gramsci, le cui note sul folklore
contenute nei Quaderni dal carcere forniscono la base analitica
 per una rivalutazione delle comunitá agrarie, prevalentemente del Mezzogiorno,
 marginalizzato da parte del fascismo.
Soprattutto per operare la saldatura con il tessuto urbano
 e la cultura operaia e urbana (11), attraverso quella “negazione del folklore”
 messa in pratica da Gianni Bosio spostando
decisamente l’attenzione degli studi verso le societá industrialmente avanzate (12). Gli
esempi sono decine, nell’ambito di questi “cultural studies” italiani, intanto il campo di
ricerca aperto da Roberto Leydi nell’etnomusicologia, oltre all’apportazione
di tutta una generazione di scrittori, ricercatori e artisti
che alimentano il dibattito culturale del periodo.

Intellettuali borghesi come Satriani, Fortini, Pasolini, Cipriani, Eco e le neoavanguardie,
fiancheggiano il drenaggio profondo della cultura musicale folklorica gettando le basi
critiche e teoriche di quella che, di lí a poco, sará la canzone d’autore.
 Ecco allora Il Cantacronache (video),
a battesimo nel corteo della  CGIL a Torino, il 1° maggio 1957
(forse ricordate la canzone Dove vola l’avvoltoio?  di Calvino-Liberovici).
Nella composizione del gruppo, motivato a combattere la canzonetta sanremese
e omologante in voga in Italia ci sono letterati e poeti oltre che musicisti:
 Fausto Amodei, Giorgio De Maria, Emilio Jona, Sergio Liberovici,
 Michele Luciano Straniero,Franco Fortini, Italo Calvino, Franco Antonicelli (13).
Con la parola d’ordine “Evadere dall’evasione”“dichiarare guerra 
alla luna e cantare  gli sposi infelici” (14)  si vuole contrapporre
una canzone quasi neorealista”  alla melensaggine da cartolina illustrata
e all’artificiosità delle canzonette  di moda   e di consumo, una canzone
 popolare, non “snob”, comprensibile, non evasiva con le idee o i fatti (15).
Pur relegato a produzioni di quattro-cinquemila dischi e alle uniche recensioni di
Massimo Mila sulla Stampa, si crea un circuito alternativo di affezionati, facendo degli
adepti anche a Milano, non solo Straniero ma anche Dario Fo ed Enzo Jannacci, che ne
colgono i temi più alti. Nel resto d'Italia a quell’esperienza si legano altri cantautori,
alcuni del Sud: Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea, Gualtiero Bertelli e Giovanna Marini.
Ma chi piú di tutti opera una vera e propria ricerca etnomusicale è Roberto Leydi il
quale riesce a raccogliere tutti i canti politici, di classe, di lavoro, degli emigranti così
come quelli delle filande e delle mondariso cantate da Sandra Mantovani, investigando
le matrici della cultura popolare, sociale, storica e politica italiana.

La ricerca si concretizza in due spettacoli del 1964, a cura dello stesso Leydi, di Filippo
Crivelli e Dario Fo, Bella ciao e Ci ragion e canto. Quasi parallelamente avviene
la fioritura dei Canzonieri, primo fra tutti il Nuovo Canzoniere Italiano, sorta di
cooperativa di secondo grado dei collettivi musicali popolari
 di questo periodo intenso e diversificato (16).
 Attorno alle figure di Gianni Bosio e di Roberto Leydi si raccolgono
allora un po’ tutti i protagonisti del folk revival italiano, o per lo meno quelli operanti
nel Settentrione. Tra i molti nomi, Sandra Mantovani, Michele L. Straniero, Sergio
Organo del gruppo diviene la rivista omonima, parallela allo sviluppo delle edizioni
librarie e soprattutto discografiche (sotto l’etichetta “I dischi del sole”), con eccezionale
rilievo all’attività di concerti e spettacoli, oltre al lavoro metodico di ricerca, sempre in
primo piano tra le attività del gruppo (19).


Tra i gruppi che in qualche modo si ricollegano alle attività del Nuovo canzoniere
italiano vale la pena di ricordare, a parte i citati circoli Gianni Bosio di Roma, Torino,
Chieti, Modena e di altre città, il Collettivo di lavoro G. Daffini di Reggio Emilia, le
Leghe di Piadena e di Acquanegra, il Nuovo canzoniere veneto (20), la Colonia Cecilia, il
Canzoniere popolare di Bergamo, il Canzoniere grecanico - salentino di Lecce, il
Gruppo operaio ‘E Zezi di Pomigliano D’Arco (21) e altri ancora.
Insomma, questo primo revival, condotto da un gruppo di intellettuali, organici alla
classe e alle necessitá identitarie del nuovo proletariato urbano, é caratterizzato da una
maniacale e innamorata volontá di indicizzazione e digitalizzazione. Di fatto dá inizio
alla museologia popolare, fatta di Fondi, Archivi musicali, Biblioteche.
Ai percorsi “puri”della musica popolare, vanno aggiunte le esperienze di sintesi, che
fanno capolino agli inizi dei Settanta, connotando i conflitti urbani e di fabbrica, il
movimento degli studenti e della sinistra extraparlamentare.

C’é un abbandono del tono dotto e dell’ansia di catalogazione che lascia il posto
 a una sperimentazione e a una contaminazione piú pronunciate, con il jazz,
 con il blues, avvicinando gli strumenti tradizionali ad altri moderni.
Lo tsunami del “personale é politico” e il progressivo distacco dalle forme di
rappresentanza tradizionali e dal dogmatismo teleologico, favorisce il contatto con le
avanguardie internazionali che stanno cercando di unire corpo, mente, storia
 e comunitá (il jazz, il rock, il progressive, le avanguardie, o ancora
la musica popolare contadina, John Coltrane, David Peel, Syd Barret,
Pete Seeger, Woody Guthrie, Luigi Nono, JohnCage).
 Ne esce esaltata l’improvvisazione e l’esplorazione delle potenzialitá sonore e
strumentali. Sul versante della musica popolare, l’esempio/paradigma é
 il Canzoniere del Lazio # che, nato a Roma nel ’72, come collettivo di ricerca
e riproposizione della musica popolare laziale, elabora e “reinventa” in modo
originale e forme tipiche della musica tradizionale, fondendole
con sonorità e modelli esecutivi  nuovi.

L'obiettivo è quello di costruire una nuova musica, che affondi le sue origini nella
tradizione popolare (22) ma che sia espressione di nuovi bisogni tipici della cultura del
“proletariato giovanile”. In “Lassa stà la me creatura” per la prima volta strumenti
tradizionali come l'organetto suonano accanto a chitarre elettriche e batterie,
dove temi di arie popolari con impianti scalari di tipo modale vengono
a costituire le basi strutturali su cui improvvisare, in una ricerca continua
 di nuove sonorità e formule melodiche innovative.


Ma é Il Canzoniere pisanoa proporre i brani piú vicini alla Nuova Sinistra. Nato a Pisa
negli anni 1966/67 attorno alle figure di Alfredo Bandelli, Riccardo Bozzi, Carla
Lantery, Pino Masi e Piero Nissim, aderisce dall’inizio alle lotte politiche di quegli
anni, incidendo per i Dischi del Sole canzoni che circolano soprattutto nell’ambiente
studentesco e fra gli operai più combattivi.
Dalla prossimitá ideologica con Lotta Continua e prodotti nelle sue strutture
territoriali(i Circoli Ottobre), escono dischi con brani molto familiari : le storie di
fabbrica, come Padrone Olivetti, Gino della Pignone, Mario della Piaggio,
Sandrino della Solvay”, quelle di lotta come 15 ottobre alla Saint Gobain,
Quella Quella notte davanti alla Bussola e soprattutto gli Stornelli pisani
“"La violenza, veri e propri ritornelli del movimento.
Successivamente il gruppo, che segue Sofri dopo la crisi di Potere Operaio,
diviene il canzoniere ufficiale di Lotta Continua, col nome di “Canzoniere del Proletariato”#.
Sono di questo periodo altri “hit” come “La Ballata della FIAT" (eseguita anche nel
film di Godard “Crepa padrone tutto va bene”), L’ora del fucile,
Compagno Saltarelli, Ballata per Franco Serrantini, o canzoni meno note che, però,
costituiscono importanti documenti sulle lotte condotte dai detenuti come
  Liberare tutti, dai militari di leva (Da quando son partito militare), o dai senzacasa
(Tarantella di Via Tibaldi). E’ probabile che una parte del successo di LC sia da
ascrivere proprio al contributo di immagine datogli dal suo canzoniere anche nelle sue
produzioni più trionfalistiche, come l’Inno di Lotta Continua
o  Internazionale Proletaria.

La rude razza pagana di questo Canzoniere s’incarna in uno dei fondatori, Pino Masi #,
militante di Potere Operaio pisano ( da lí e dai compagni di Pavia, nasce nel ’68 Lotta
Continua), poi, fino al ’70, col Nuovo Canzoniere Italiano cantando con la Marini, Della
Mea ed altri. Dal ‘70 in poi, come dirigente dei Circoli Ottobre, compone decine di
canzoni politiche, tra cui la Ballata di Pinelli ed altre, che, incise in numerosi dischi
per le Ed. Lotta Continua, diventano repertorio dei giovani della nuova sinistra. Dopo
un periodo di crisi profonda, nel ‘76 esce dai Circoli Ottobre e, con il loro scioglimento,
rientra a far parte del Nuovo Canzoniere Italiano. Pino Masi rende inno di massa una
canzone non sua: “Violenza” (La caccia alle streghe) di Alfredo Bandelli e quell’inno
ribelle ma anche tenero dal titolo Contessa”.
Non c’é compagno nel movimento che non la conosca o la suoni a menadito. Inutile
dire che l’urgenza del testo sacrifica ogni ricerca musicale, ma non si tratta di sacrificio,
la scarnificazione é significante quanto il testo, niente fronzoli, va data voce alla rabbia
collettiva e al rifiuto del lavoro, é un’affermazione della soggettivitá dell’operaio-massa
che, in un percorso inverso alla canzone politica precedente, dalle sue situazioni
individuali risale al ritratto di un’intera classe. Ovunque nei testi scarni
accompagnati da musica timbrica e voce potente, aleggia il risentimento
 verso i compromessi della sinistra storica e del sindacato
e una diffusa evocazione della violenza rivoluzionaria:
tutti tratti identitari della visione autonoma di quegli anni (23). Con Pino Masi,
 i valori antifascisti, antimperialisti e anti-DC, si legano alla classe, alla sua condizione
e allo sviluppo della sinistra rivoluzionaria, Le masse, anche in Europa, non stanno 
più a guardare,/ la lotta esplode ovunque e non si può fermare/ ovunque barricate: 
da Burgos a Stettino, ed anche qui fra noi,/ da Avola a Torino, 
da Orgosolo a Marghera, da Battipaglia a Reggio,/ la lotta dura avanza,
 i padroni avran la peggio./ E quindi:cosa vuoi di più, compagno,
 per capire/ che è suonata l’ora del fucile?”
 (L’ora del fucile, 1971).


Nell’ambito della Nuova Sinistra, definirei formazione “pulviscolo” il Canzoniere del
Vento Rosso, espressione musicale della Lega del vento rosso, organizzazione culturale
italiani marxisti-leninisti (24) e che daranno una lunga serie di
concerti e spettacoli nelle piazze e in varie situazioni di lotta.
Fra i componenti più noti da ricordare Ciccio Giuffrida e Pierangelo Bertoli.
Infine Corrado Sannucci #, cantautore romano, che inizia giovanissimo a suonare la
chitarra e, a partire dal 1973, scrive le sue prime canzoni. I suoi amici Giaime Pintor e
Marco Lombardo Radice lo convincono a far sentire le sue canzoni a Paolo Pietrangeli
che lo indirizza verso il Folkstudio. Nel 1975 registra l' album “La luna e i falò” - dove
affronta una serie di temi sociali come l'aborto, la medicina di classe, la condizione
operaia, la disoccupazione, il suicidio. Comincia così una lunga serie di concerti, fra cui
nel 1976 una tournée per i Circoli Ottobre. Ma nel 1978 abbandona la canzone e
registrerà solo più un 45 giri nel 1986. Nell' '81 collabora alla musica del film Sogni
d'oro di Nanni Moretti. É del 1993 un nuovo album, “La sfida e le passioni” (25).

Questo percorso, parziale per forza, ci traghetta dalla ricerca dell’oralitá e della musica
popolare, rese miti immanenti al conflitto politico e sociale nel presente, alla messa in
scena militante delle stesse. Di cui si puó dubitare, o prendere alla leggera,
specie la sua lucida autoreferenzialitá, ma svolge una funzione
illustrativa ed esortativa all’azione.
Che spesso cerca di vedere il bosco dimenticandosi come sono fatti gli alberi.
Pochi riescono a intuire che ci si puó arrampicare su uno e scrutare l’orizzonte. Gli
intellettuali e gli artisti di questa area, fluida ma non troppo, piú sono coinvolti
politicamente, piú si fanno “resistenti” all’omologazione e alla cooptazione sociale
 della sinistra storica, piú sono dannati. E piú si dannano.
Ma é troppo facile scaricarli. É tutta una galassia di emozioni chiamate a raccolta nello
scontro politico, nell’imminenza della rivoluzione. Al punto di convogliare tutte le
energie nelle parole, gli slogan, la ripetizione ad libitum delle consegne,
sacrificando ogni ricerca musicale.
Per questo mi piace mettere a guardia dell’accesso al girone successivo un profilo
radicale nel suo minimalismo rivoluzionario: Enzo Del Re, l’ultimo cantastorie di Mola
di Bari, come si definisce, senz’altro una delle figure più radicali
dell’alternativa politico-musicale degli anni Settanta.
Utilizzando come strumento una sedia e chiedendo come cachet il minimo sindacale
della paga di una giornata di lavoro di un metalmeccanico, Del Re si lancia in
performance imprevedibili e provocatorie, vere maratone
per denunciare l’infinita ripetitività del lavoro in fabbrica.
In un’epoca in cui il rifiuto del lavoro ha un valore morale e ideale,
Del Re rappresenta l’utopia più estrema della ribellione e della denuncia.
Pur essendo diplomato al Conservatorio di Bari, rifiuta gli strumenti classici per
adottare materiali poveri e di recupero (cartoni, oggetti casuali) con cui trasforma le
canzoni in recitativi monodici con un accompagnamento ritmico molto sostenuto. Si
accompagna suonando sempre oggetti della vita di tutti i giorni, che assumono a volte
un significato simbolico, come quando usa una valigia come percussione,
 per raccontare di emigrazione.

La nuova canzone politica, le ballate in dialetto milanese, un’attitudine “d’autore”,
trovano forse la loro piú alta espressione nelle composizioni di Ivan Della Mea,
cantautore politico di confine, fondatore insieme a Gianni Bosio, del Nuovo Canzoniere
Italiano, tra spettacoli, dischi e ricerca.
Giovane operaio immigrato a fine anni Cinquanta, fattorino, redattore,
 scrittore di alcuni gialli Mondadori, soggettista con Franco Solinas  nel 1969
dello spaghetti-western “Tepepa”, con Tomas Milian e Orson Welles.
Esce nel ‘67 dal Nuovo Canzoniere per rientrare nel ’71.
 Al suo attivo  una serie di  45giri e molti LP per i Dischi del Sole,
una presenza forte negli spettacoli del Nuovo Canzoniere (26).
Costantemente in bilico tra l’urgenza personale, in anticipo coi tempi
della rivalutazione politica dell’esperienza, e il rifiuto/dissenso
 con la burocrazia di partito,  il tono  dylaniano di molte ballate con un plus di rabbia
 poco riconducibile alla disciplina della sinistra istituzionale(27).
Canta figure emblematiche, prototipiche dei momenti politici, unite da un vissuto
personale pervasivo, segnato dalla figura paterna intrisa dei miti del fascismo (28),
dall’impotenza della madre, della sorella e soprattutto del fratello Luciano (29). Rapide
pennellate per descrivere i momenti quotidiani di emarginazione, la solitudine,
l’incompatibilitá con la burocrazia e le istituzioni, ivi comprese quelle di partito, ma
anche sentimenti forti, vessati dalla furia del profitto e della corruzione. In questi sensi
Della Mea sta alla canzone politica della gente comune
come Jannacci al dettaglio graffiante, ironico e paradossale,
o Guccini all’affabulazione composta dell’ingiustizia quotidiana.
La notevole sensibiltá poetica e la rabbia politica esaltano il testo rispetto alla musica,
proponendo i migliori momenti nelle nuove tematiche della critica delle istituzioni
totali (30), delle disillusioni e dei tradimenti a cui
 la classe operaia ha dovuto sottomettersi.



Per chi vuole approfondire: http://www.ildeposito.org/

Per chi vuole, una miniera da "zoomare":
le note

1)  Lopez, Romeo, Timperi
2)  Claudio Vedovati- Sono solo canzonette-Il Manifesto, 25 aprile, n.9
3)  Il 1 gennaio 1925 iniziano le trasmissioni dell’unione radiofonica italiana (URI), nel 1926 nasce la
     SIPRA (societá italiana pubblicitá radiofonica anonima).L’industria del divertimento contribuisce a fare
     del settore elettrico (IRI, SIPRA, EIAR, SIP) un elemento trainante dello sviluppo economico nazionale.
    Attraverso la radio e le canzoni passa anche l’unificazione lingüística del paese, con funzioni
     antiregionali, operazione di ingegneria linguistica e sociale, che scioglie i legami locali e li ricompone
     dall’alto (Claudio Vedovati, cit.)
4)  L’operetta di Offenbach e il “café chantant di Aristide Bruant a Parigi, il walzer degli Strauss a Vienna,
     il music hall inglese, il vaudeville americano sono il terreno su cui si costruisce un nuovo pubblico
     urbano, tra la Belle Epoque e la Grande Guerra.
5)  Claudio Vedovati, ibid.
6)  “una vera e propria storia della soggettivitá politica della sinistra italiana, attraverso il rapporto dei
      suoi intellettuali e delle sue organizzazioni con le voci dei soggetti sociali di cui sono stati o avrebbero
      dovuto essere, i rappresentanti: la tensione strutturale fra la soggettivitá sociale e le sue organizzazioni,
      ma anche le diversitá interne, la molteplicitá, la contraddittorietá del mondo popolare e proletario
      fonti orali -Odradek – recensione di Sandro Portelli, Il Manifesto
7)  “...che sono il punto d’atterraggio dell’autonomia, per la quale la sintesi produttiva e politica che la
      relazione del capitale offre appare povera se pargonata alla ricchezza crescente del tessuto sociale che si
      costruisce attorno alle lotte. Intorno a questo gravita una quantitá straordinariamente elevata di risorse
      produttive in termini di capacitá di cooperazione sociale, intercambio e elaborazione di informazioni e
      conoscenze, dominio sul tempo sociale. La comunicazione sociale sembra espandersi in modo smisurato,
      svincolandosi in gran parte dal principio di prestazione che regola la relazione salariale, che non é piú
      in grado di dirigere pienamente la gerarchia sociale:una quota crescente della riccheza sociale é
      destinata a finanziare, attraverso le piú diverse forme di assistenza, non piú la prestazione del lavoro
      bensí la rigiditá esistente nei suoi confronti e il suo rifiuto, allo stesso tempo che ció che si rende
      socialmente irrilevante é la sua esclusione, sempre piú marginale .(L’orda d’oro-L’autonomia, le
      autonomie, Lucio Castellano).
8)   Convegno "La comunicazione del sapere storico".9 marzo 2001. Scrittura della storia e grande
       pubblico. Intervento di: Alessandro Portelli (Università di Roma "La Sapienza").
9)   Gianni Bosio muore improvvisamente nel 1971. L’anno dopo, il gruppo di ricercatori, musicisti,
       attivisti romani che si veniva formando attorno all’Istituto decide di ricordarlo prendendo il nome di
       Circolo Gianni Bosio. Descrizioni riassuntive dell’attivitá del Circolo e analisi piú articolate dei suoi
       presupposti teorici e metodologici sono contenute sia nel volume “I giorni cantati” (antologia di materiali
       su Roma e sul Lazio tratti dal bollettino omonimo) pubblicato nel 1979 dall’editore Mazzotta, sia nel
       saggio di A.Portelli, “Ricerca sul campo, intervento politico,organizzazione di classe:il lavoro del
       Circolo Gianni Bosio a Roma” nel volume “Studi antropologici italiani e rapporti di classe”, pubblicato
       nel 1980 dall’editore Franco Angeli nella serie dei Quaderni di “Problemi del Socialismo” facente capo
       alla Fondazione Lelio Basso. Sono attualmente disponibili circa 5.000 ore di registrazione sonora di
       musica popolare e storia orale, registrate per la maggior parte con apparecchi di qualitá
       professionale(Uher Reporter), su bobina. Inoltre una notevole quantitá di campagne di ricerca, incise su
       nastro, registrazioni degli spettacoli e dei seminari tenuti presso il Circolo Gianni Bosio, documenti di
       numerose manifestazioni operaie e studentesche svoltesi a Roma, di pellegrinaggi ed altri momenti della
       religiositá popolare. Il bollettino ciclostilato “I Giorni Cantati” é uscito in 13 numeri dal 1972 al 1980; i
       sei dischi prodotti sono stati tutti pubblicati dai Dischi del Sole.
10) Cirese, A. M., 1976, Intellettuali, folklore, istinto di classe, Torino, Einaudi
11) di Raniero Panzieri “Scilla e Cariddi, in “Avanti”Roma, 30 marzo 1947; “Gramsci e il punto meno
       importante”, in “Mondo Operaio, Roma 1ogennaio 1958, pp. 59-60. Di Gianni Bosio “Intorno a
      Gramsci”, in “Avanti”, Milano, 26 marzo 1957; “Alcune osservazioni sul canto sociale”, in “Il Nuovo
      Canzoniere Italiano”, Milano, Edizioni Avanti, I serie, n.4, aprile 1964; “Comunicazioni di classe e
      cultura di classe”, entrambi riportati in Gianni Bosio “L’intellettuale rovescia“Tepepa”to. Interventi e ricerche sulla
      emergenza d’interesse verso le forme d’espressione e di organizzazione spontanee nel mondo popolare e
      proletario(gennaio 1963-agosto 1971), Milano, Edizioni Bella Ciao, 1975
12) Anche nella corrente del Culturalism inglese degli anni ’70 e ’80 Stuart Hall e Thomas Bennett si
      servono del concetto gramsciano di egemonia per individuare le aree dove si ottiene consenso attraverso
      un’azione congiunta condotta attraverso piú canali di comunicazione. Il termine cultura designa sia una
      serie di attivitá quasi esclusive degli intellettuali, che un gruppo di attivitá qualificanti di una certa
      societá, dai sistemi di produzione materiale, alle convenzioni nell’abbigliamento, al tempo libero. Tutti
      questi fenomeni non devono essere studiati in base a criteri estetici e formali preordinati, ma piuttosto
      come parte essenziale delle norme di comportamento collettive, e dunque secondo le convenzioni che
      generano i giudizi di valore e l’idea di considerazione sociale. Quindi la prassi in ambito culturale risulta
      fortemente condizionata dalla classe, dal sesso e dall’appartenenza a un determinato gruppo etnico.Tali
      differenze sono state oggi in gran parte erose dal sistema di comunicazioni delle societá industriali, tanto
      da rendere complessa una chiara distinzione tra la sfera delle arti, dello svago e dello spettacolo e quella
      dei costumi tradizionali.
13) Meno noto al grande pubblico Guido Hess Seborga, singolare figura di poeta, scrittore, pittore, nato a
      Torino, cresciuto nell’ambiente dell’antifascismo di Augusto Monti e Gobetti, artista dalle molte
      vocazioni ed esperienze (vedi http://web.tiscali.it/GUIDOSEBORGA/biografia.html). Direttamente o
      indirettamente, collaborarono coi Cantacronache, o almeno li affiancarono, anche la cantante Margot
      (Margherita Galante Garrone), Giorgio De Maria, Mario Pogliotti, Giovanni Arpino, Umberto Eco,
      Gianni Rodari, e molti altri...
14) “Canzone triste” di Calvino-Liberovici
15) La produzione del Cantacronache è costituita da otto dischi a 45 giri, tutti editi dai Dischi del Sole.
16) Il nome, proposto da Roberto Leydi nel 1962 (ispirato a una vecchia raccolta di Pietro Gori), viene
      assunto dal gruppo di cantanti e operatori che già operano nell’ambito delle allora Edizioni Avanti!, poi
      divenute Edizioni del Gallo e infine Edizioni Bella ciao
17) La Marini é certamente tra i musicisti in senso pieno. Musica popolare eseguita in forme colte, da
      chiare reminiscenze di conservatorio da Monteverdi a Palestrina. Voce con capacitá di modulazione da
      contralto a soprano (“svolo”). Ricerca e invenzione di nuovi moduli popolari.
18) Cantautore e studioso di musica popolare, scopre alla fine degli anni Cinquanta il repertorio dello
      chansonnier francese Georges Brassens, da lui in parte tradotto in dialetto piemontese. Con Michele
      Straniero, Giorgio De Maria, Emilio Jona, Sergio Liberovici e altri musicisti e letterati, fonda il
      movimento dei Cantacronache nel 1958. Nel 1975 riceve il Premio Tenco insieme a Vinicius de Moraes,
      Umberto Bindi, Fabrizio De André, Enzo Jannacci e Francesco Guccini.
19) Tra gli spettacoli “L’altra Italia, canti del popolo italiano”, “L’altra Italia, prima della canzone popolare
      vecchia e nuova, “Pietá l’é morta, la Resistenza nelle canzoni”, “Bella ciao”, “Ci ragiono e canto”, che
      acuirá certe polemiche, che porteranno al distacco dal Nuovo canzoniere di Leydi, Sandra Mantovani,
      Bruno Pianta, Hana Roth, Matteo Deichmann
20) Nato dalla divisione nel 1971 del Canzoniere Popolare Veneto (fondato da Bertelli nel 1964), con cui
      prende parte alle lotte operaie, alle occupazioni dell fabbriche a Marghera e nell’entroterra, e alle lotte per
      la casa a Venezia. Il Nuovo Canzoniere Veneto partecipa nel 1973 alla 5a rassegna "L'altra Italia"
      presentando “Marghera: un popolo diventa classe”, rappresentazione popolare con canti tradizionali,
      nuove canzoni, materiali visivi e sonori.
21) Il Gruppo Operaio e’ Zezi di Pomigliano d’Arco nasce e si organizza nel novembre ’74, col fine di
      salvaguardare il patrimonio tradizionale popolare dall’industria consumistica e dal saccheggio degli
     “esperti”; tentando quindi il recupero di quelle forme tradizionali come i canti, la musica, i balli popolari
     che sono l’espressione culturale della vita e delle lotte delle masse popolari e, che - in conseguenza della
     trasformazione socio-industriale della zona - vanno scomparendo. La Nuova cultura può nascere
     attraverso un costante e organico rapporto tra la cultura contadina e quella operaia; stimolando sia il
     ricordo di forme tradizionali del folklore sia lo stretto rapporto tra cultura e lotta politica. (web ‘70 e
     dintorni). Artista partenopeo di cross-over tra diverse tradizioni, con importanti contaminazioni
     internazionali é Daniele Sepe, che, nato a Napoli, dopo il diploma in flauto al conservatorio di Napoli,
     comincia la sua poliedrica attività con il Gruppo Operaio E Zezi di Pomigliano, con cui partecipa a
     numerosi Festival internazionali tra cui Rennes, Martigues e Bonn. L’esperienza viene coronata da un
     album Tammurriata dell’Alfa Sud, inciso per I Dischi del Sole. Dopo la collaborazioni con vari artisti (fra
     gli altri Gino Paoli, Roberto de Simone, Roberto Murolo) e un crescente interesse per la musica jazz,
     comincia a scrivere la propria musica dando vita a formazioni che vanno dai 3 elementi a vere e proprie
     big band di 20 persone
22)“Facevamo "ricerca", registrazione del materiale popolare e lo riproducevamo tale e quale... ma un pò
     per l'uso di strumenti diversi, un pò per l'esigenza di intervenire su questi materiali, cominciammo ad
     improvvisare. Credo che nella riproposizione del materiale popolare ci siano diversi modi di
     improvvisare: noi preferiamo intervenire sull'atmosfera piuttosto che sui "modi". Così, per esempio, se
     riproponevamo un canto, che sò?, di mietitura della Ciociaria, usavamo questo materiale come schema,
     quasi fosse una testimonianza su cui intervenire con la nostra particolare sensibilità, anche
     strumentalmente. E così al posto della zampogna, delle ciaramelle, del mandolino o della chitarra
     "battente", usavamo basso e percussioni per riproporre il ritmo, mentre i sax ed il violino costituivano una
     tessitura simile a quella delle zampogne e delle ciaramelle. Il nostro discorso, cioè, riprendeva il materiale
     popolare scomponendo e ricomponendo l'atmosfera, appunto, e anche al livello di modi riproponeva il
     doppio aspetto melodico e ritmico... in pratica si era, in quel primo periodo, ancora interni quasi
     totalmente alla musica popolare, pur cercando di afferrarne più le caratteristiche generali che non i modi
     specifici... se è vero che non può darsi una "riproposizione", cioè riprodurre tale e quale la musica
     popolare come schemi musicali, ma si deve ricercare una possibilità di "continuazione", cioè di situazioni
     reali e di lotta che rendano possibile una musica "altra". ..c'è tutto il discorso sulla musica urbana. Cioè
     dalle campagne che si spopolano ormai non può venire nessuna musica popolare senza essere straniata,
     perchè i contadini emigrano o si inurbano... così per esempio a Roma se i baraccati vanno al Campidoglio
     e si mettono a ballare una tarantella, te la fanno veloce il doppio...perchè anche i ritmi cambiano. O per
     esempio quando i metalmeccanici nelle manifestazioni battono sui bidoni, riproducono una matrice
     ritmica popolare e contadina, ma ci mettono quella durezza, quei mutamenti ritmici che gli vengono
     proprio dalla vita in città e dal lavoro delle fabbriche... cioè vivono una diversa alienazione rispetto a
     quella dei campi e dunque anche diversi modi di espressione, la musica usata per una socializzazione
     diversa... ... allora credo che la nostra sia una sintesi fra materiali popolari e l'esperienza concreta del
     movimento: noi siamo interni a questo movimento, ad un movimento di lotta... la nostra musica è un
     momento di gioia nella lotta... basta vedere la Tarantella, che è il momento di massimo coinvolgimento
     del pubblico, dei compagni che ci ascoltano. Ebbene nella tradizione popolare la tarantella è un modo per 
     guarire i malati, un rito di gruppo per curare, attraverso questo ballo frenetico, i cosiddetti "tarantolati",
     una liberazione delle forze del male, una sorta di esorcismo, non delegato alla chiesa o agli stregoni, ma
     vissuto socialmente dalla comunità”. (Intervista di Giaime Pintor a Luigi Cinque, sassofonista del CdL,
     Muzak, gennaio 1976)
23)Ha collaborato con Gianni Boato, Cesare Bermani e Franco Coggiola alla parte musicale dello
     spettacolo teatrale La grande paura, con Dario Fo per le celebrazioni antifasciste nel pavese, con Pasolini
     per la colonna sonora del film militante 12 dicembre, con Gaslini in Musica totale e come unica voce
     cantante in Murales, ancora con Dario Fo nella registrazione del Ci ragiono e canto per il secondo canale
     della Televisione italiana. A Pisa ha dato inizio con Libertà 1 nel ‘73 alle rassegne annuali di musica 
     e cultura, ha fondato il Circolo Ottobre nel ‘74, il collettivo UTOPIA nel ‘75/’76 
     per l’animazione teatrale-popolare
24)Piú conosciuto dal nome del suo settimanale “Servire il Popolo”. Nel ‘71 dará vita ad una serie di
     organismi fiancheggiatori, detti “Movimento delle 5 leghe”: la Lega del Vento rosso (intellettuali ed
     artisti), la Lega delle donne comuniste, la Lega della gioventù comunista, la Lega della vecchia Guardia e
     la Lega dei pionieri (adolescenti e bambini).
25)Sannucci appartenne a "Lotta Continua", ma al suo arcipelago, non ai ministeri: nella periferia dove si
     scrivevano le canzoni, si giravano i film, si costruivano mense di bambini e si democratizzava la naia.
     Sannucci faceva e cantava canzoni lui stesso, e credo che continui a farne. E' romano, buon giornalista
     sportivo. La sua idea è che la periferia di "Lotta Continua", il pulviscolo di attività satelliti, di sedi minori,
     di trasformazioni provate subito e non rinviate al futuro, fosse in realtà il vero centro della cosa, e che
     all'ombra di parole politiche crescesse, quasi senza accorgersene, una coscienza civile. Inutile e
     inapplicata la proclamazione politica, preziosa la rosicchiatura democratica. La tesi ha la virtù di non
     essere dimostrata per concetti, bensì raccontata per storie, di persone sole, di gruppi, di posti. Storie
     bellissime, che Sannucci sa raccontare di cuore, e senza retorica. (Adriano Sofri)
26)Nel ’63 una rappresentazione di canzoni padane con Fausto Amodei, Giovanna Daffini, Sandra
     Mantovani, Michele L. Straniero e Rudi Assuntino, nel ’64 a “L’altra Italia” e “Pietá l’é morta”. Nel’65
     prende parte alle trentacinque repliche di “Bella Ciao”, nel ’66 a “Ci ragiono e canto”, nel’67 partecipa
     con Giovanna Marini all’Encuentro Internacional sul canto di protesta tenutosi a Cuba
27)“Compagno, quando il partito, finalmente, sbaglia e a tutti è dato scrivere sui muri la libertà
      d'interpretare il mondo, di criticare i propri dirigenti senza i tabù del 'glorioso passato', allora, credi, si
      vincerà”... Compagno, quando chi fa l'idea con la penna, che qui da noi si chiama intellettuale, prova ogni
      giorno la rivoluzione con il martello, la falce, il fucile e a tutto questo la sua penna è uguale, allora, credi,
      si vincerà”. (“Il rosso é diventato giallo”, 1969)
28)“Del gran Fascismo/ mio padre fu vero credente,/ ché sotto le sue nere ali/ lui si sentìa potente!...”;
     “Con uno sguardo vuoto e il volto esaltato/ parlò lungamente, ma in sostanza disse/ che in tutta la sua
      vita, in fede, egli visse/ per un ideale che era destinato/ a diventare il credo di tutto il creato” (“Ballate
      della grande e della piccola violenza”)
29)Luciano é uno fra i temperamenti più significativi per il suo impegno politico e da annoverarsi fra i
      maggiori scrittori contemporanei, ovviamente meno noti, se non per una cerchia di compagni. Il suo
      capolavoro è e rimane il poderoso romanzo I senzastoria, pubblicato da Bertani nel '74, opera
     “rivoluzionaria” in tutti i sensi e che la critica ufficiale ha ignorato ed ignora. Sua anche la raccolta di
      venticinque racconti, dal titolo « Il fossile ignoto » (Ed. Bertani, Verona 1974), scritti fra il '51 e il '74;
      non meno degno di rilievo è il saggio “Lettera di un impaziente » (Ed. Mazzotta, Milano 1978), scritto nel
      corso del suo calvario da una clinica psichiatrica all'altra, in risposta alle affermazioni/pubblicazioni "anti-
      psichiatriche" di David Cooper.
30)"La libertà/ - dirò - è un fatto,/ voi mi legate/ ma essa resiste"..."Io riderò/Il mondo é bello/ Tutto ha un
      prezzo/ Anche il cervello/ Vendilo, amico,/ con la tua libertà"(Io so che un giorno,1966)

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